Intervista ad Andrea Orlando (l’Unità, 2 giugno 2014)
Ministro Orlando, 11 milioni di voti come se li spiega?
«Con un termine poco utilizzato nel nostro vocabolario tradizionale lo chiamerei un voto patriottico. Gli elettori, alcuni anche idealmente lontani dal Pd, hanno capito che in gioco non c’era tanto un ciclo di governo, ma la collocazione internazionale del nostro Paese. Hanno fermato il tentativo di chi, utilizzando il malessere, puntava a sfasciare l’unico percorso possibile che il Paese ha per affrontare e superare la crisi, cioè l’integrazione europea. Renzi ha saputo esplicitare con chiarezza questo dilemma».
L’investimento sul governo Renzi e sul Pd è enorme. Come farete a non deludere?
«Correndo sulla strada delle riforme sia in Italia che in Europa. Riformare le istituzioni, la pubblica amministrazione, la giustizia serve a rendere più competitiva l’Italia, ma è anche la premessa per uscire dalla logica del rigore che ha dominato in questi anni in Europa. Gli 80 euro in questo senso sono il primo serio tentativo di far aumentare il potere d’acquisto delle famiglie e quindi la ripresa dei consumi. E il messaggio è andato oltre i destinatari diretti. Chi ha ridicolizzato la misura ha compiuto un autogol. Andare oltre il rigore del resto è un tema che alcuni di noi avevano già posto in tempi non sospetti, quando ci fu la lettera della Bce. Purtroppo abbiamo avuto ragione sul fatto che quella non era la via giusta per uscire dalla crisi. La critica al rigore ora è patrimonio comune. Se una parte importante degli italiani non arriva a fine mese non riparte la domanda interna e con essa un meccanismo economico inceppato, che si sblocca anche con investimenti pubblici. Per questo, politiche di redistribuzione e modifiche delle regole europee sono tutt’uno e devono essere la cifra della leadership che l’Italia può esercitare».
Come farà il Pd a prendere la residenza stabile nel 40%?
«Continuando a raccogliere la domanda di innovazione e a lavorare sul fronte dell’equità. Del resto la crisi ha attenuato le contrapposizioni fra piccola impresa, lavoro dipendente o precario, la voracità della grande finanza fa stare i produttori sulla stessa barca».
Ciliberto su l’Unità dice che a Renzi servirà un partito forte per vincere le resistenza al cambiamento che inevitabilmente ci saranno. Concorda?
«Sì. E oggi il Pd non è in grado di svolgere questo ruolo. S’è discusso per anni di partito leggero o pesante col risultato che non s’è fatto né l’uno ne l’altro. Ora non possiamo più rinviare la costruzione di un soggetto che organizzi la partecipazione consapevole dei cittadini, non solo per le primarie ma attorno a un progetto e a un processo riformista. I poteri che si metteranno di traverso alle riforme sono già ben organizzati, chi vuole cambiare invece non lo è ancora. Bene la rete, ma non bisogna fermarsi al click sul “mi piace” di Facebook».
Teme sgambetti interni sulle riforme istituzionali?
«No, ci sono tutte le condizioni perché la voce del Pd sia univoca. Però dato che le resistenze ci saranno, è necessario che gli obiettivi del governo diventino obiettivo del Pd non solo in parlamento ma anche fuori, fra la gente in un confronto aperto. Dobbiamo mobilitarci perché la possibilità di modernizzare il Paese è davvero a portata di mano e non dobbiamo farcela scappare».
Camusso auspica un partito unico della sinistra e Vendola rilancia l’unità col Pd. Che ne pensa?
«Facendo nascere il Pd avevamo in mente proprio una forza riformista che unisse le diverse anime del progressismo e del socialismo europeo. Oltre a far convergere in un unico punto sigle, dobbiamo far convergere i nostri popoli su un asse europeo chiaro. È necessario un processo culturale ed organizzativo profondo in grado di battere tutti i populismi».
Non c’è contraddizione nel dire che si vuole un unico partito della sinistra e poi essere contrari all’Italicum che spinge al bipolarismo?
«Non farei l’errore di far discendere processi politici automaticamente da meccanismi elettorali. Tuttavia se si estremizza l’idea dell’esigenza di rappresentanza e si combatte per questo l’Italicum non s’è poi molto credibili nel percorso unitario. Tanto più che l’Italicum, che può essere ancora migliorato, non spinge verso forzati bipartitismi, ma risponde all’esigenza di garantire stabilità all’Italia. Una condizione che sarà sempre più essenziale se vogliamo un Paese protagonista in Europa».
Pensare a un sindacato unico è una bestemmia?
«No. La crisi della rappresentanza ha investito tutti i corpi intermedi. Per questo anche il sindacato deve considerare le conseguenze che essa ha sulle forze sociali. L’unità del sindacato confederale è un tema d’attualità proprio perché questa crisi spinge al corporativismo e all’egoismo».
Che ne pensa dello scontro in seno alla procura di Milano?
«Guarderò con attenzione la conclusione del percorso del Csm».
Quando vedremo la riforma della giustizia?
«Entro fine mese daremo una risposta che aggredirà la giustizia civile».
E quella penale?
«La riforma della giustizia penale è anch’essa una priorità, ma qui ha monopolizzato l’attenzione di tutti producendo indirettamente la rimozione del problema della giustizia civile».
C’è chi lo considera uno dei punti deboli della competitività del sistema Italia. È così?
«C’è chi calcola che ci costi un punto di Pil all’anno. Dato credibile visto che c’è chi deve attendere 7-8 anni per vedersi pagare un credito. Tante aziende hanno la sede legale all’estero proprio per non doversi confrontare col contenzioso italiano. Snelliremo il processo e garantiremo corsie preferenziali per le domande di giustizia di imprese e famiglie. A fine giugno poi avvieremo l’informatizzazione del processo civile. Intanto ho chiamato a capo dell’organizzazione giudiziaria Mario Barbuto, già presidente della Corte d’appello di Torino che vanta tra i risultati migliori nell’azzeramento dell’arretrato».
In Europa siamo sotto esame anche per la situazione delle carceri. Che farà?
«Stiamo riorganizzando tutto il sistema della detenzione, ci sono varie misure, passi da fare uno dopo l’altro e li stiamo facendo. Abbiamo fatto accordi con Paesi esteri per il rimpatrio dei detenuti, intese con le Regioni per trasferire i tossicodipendenti nelle comunità di recupero, col ministro dell’Ambiente ci siamo accordati per utilizzare i detenuti nei parchi. E poi ci sono gli effetti del decreto sulle pene alternative e della sentenza della Corte Costituzionale sulle droghe. I risultati fin qui sono incoraggianti: dai quasi 70mila detenuti del 2011, siamo a 59mila. Però il problema non è solo del rapporto fra detenuti e metri quadri, ma di un sistema che è costoso e poco efficiente perché tutto incentrato appunto esclusivamente sul carcere con l’effetto che abbiamo tassi di recidiva altissimi».
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