domenica 14 settembre 2014

Il saluto fascista era ed è un reato: la Cassazione conferma la condanna per due militanti di Casapound

Il saluto romano è ancora un gesto perseguibile. Lo ha sancito la Cassazione, che ha condannato due neofascisti per aver riproposto gesti del ventennio, in particolare il saluto a braccio teso.
I supremi giudici, infatti, hanno confermato la condanna per due simpatizzanti di Casapound - che a un raduno neofascista avevano salutato a braccio teso urlando 'presente' - rilevando che "nulla autorizza a ritenere che il decorso di ormai molti anni dall'entrata in vigore della Costituzione renda scarsamente attuale il rischio di ricostituzione di organismi politico-ideologici aventi comune patrimonio ideale con il disciolto partito fascista o altre formazioni politiche analoghe". Secondo i giudici, esistono quindi ancora rischi di "rigurgiti" antidemocratici - come indicano tanti recenti episodi avvenuti in Europa - che rendono necessario mantenere in vigore la legge Scelba che vieta la ricostituzione del partito fascista e gesti come il saluto romano.
"L'esigenza di tutela delle istituzioni democratiche non risulta, infatti, erosa dal decorso del tempo e frequenti risultano gli episodi ove sono riconoscibili rigurgiti di intolleranza ai valori dialettici della democrazia e al rispetto dei diritti delle minoranze etniche o religiose", scrive la Prima sezione penale della Suprema Corte nella sentenza 37577 (presidente Arturo Cortese, relatore Raffaello Magi). Con questa risposta, i giudici hanno respinto la tesi degli imputati - Andrea B., con precedenti, e Mirko G. - che sostenevano l'assenza di "lesività" dei comportamenti da loro tenuti e la necessità di depenalizzare i retaggi del reato di opinione per via del "mutato clima politico" e delle norme internazionali sulla libera manifestazione delle opinioni.
IL TESTO DELLA SENTENZA

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 luglio – 17 settembre 2012, n. 35549
Presidente Agrò – Relatore Di Salvo

Ritenuto in fatto
1. F.L. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Firenze in data 3-11-2010, con la quale è stata confermata, in punto di responsabilità, la sentenza di primo grado emessa in data 10-1-2008 dal Tribunale di Firenze, in ordine al reato di cui agli artt. 110 cp, 3 I. 654/75 e 2 d.l. 122/93 perché, agendo in concorso tra loro e con altre persone non identificate, in una pubblica riunione,effettuavano il saluto romano e scandivano slogan inneggianti al razzismo e al regime fascista.
(OMISSIS)
2. Con unico motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata in relazione all'identificazione dei reo nella persona dell'imputato e alle dichiarazioni del teste B. 

L'asserito riconoscimento del F. è infatti avvenuto con modalità tali da renderlo inattendibile, poiché il soggetto ritratto in foto aveva il capo coperto da un cappello, una sciarpa sul volto e un giubbotto imbottito. Dunque non vi è alcun elemento dirimente in merito al volto, alla corporatura o ad altri segni distintivi atti a caratterizzare univocamente il soggetto oggetto del riconoscimento. L'agente Bianchetti, chiamato a deporre in dibattimento sul riconoscimento dell'imputato, si è limitato ad affermare: "Sì, lo riconosco, lo conosco dal 1990". Ogni
approfondimento, da parte della difesa, è stato precluso dal giudicante, il quale ha ritenuto di porre fine all'esame. Anche il giudice d'appello si è limitato ad affermare che gli imputati erano "vecchie conoscenze" della polizia e che il F. aveva la parte inferiore del volto, dal naso in giù, coperta da una sciarpa, che non ne impediva il riconoscimento da parte di chi già avesse avuto a che fare con lui, per ragioni di servizio: tutte frasi stereotipe, che fanno riferimento soltanto alla vita anteatta del condannato,in maniera inidonea a giustificare adeguatamente la declaratoria di responsabilità.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.


Considerato in diritto
 
3. Il ricorso si basa su motivi che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito,le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta,in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, dai giudici di merito bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e
convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. un.13-12-95 Clarke, rv 203428).
Nel caso di specie, il giudice d'appello ha fondato il proprio convincimento sulla circostanza che gli imputati erano soggetti già noti alle forze di polizia (in particolare, alla Digos e alle Questure della Toscana) per la loro partecipazione ad altre manifestazioni del genere. Inoltre il F. era pluripregiudicato e perciò, anche sotto questo profilo, era noto alle Forze di polizia. I giudici di secondo grado hanno poi posto in rilievo come l'imputato avesse la parte inferiore del volto (dal naso in giù) coperta da una sciarpa, che non ne impediva il riconoscimento da parte di chi già lo conoscesse.
3.1. Come si vede, dalla sentenza d'appello è enucleatole una ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alla conferma della sentenza di prime cure attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della correttezza logica,e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità dei
testi esaminati in dibattimento, giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità Sez. un. 25-11-'95, Facchini, rv203767).
4. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Consegue alla dichiarazione di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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