sabato 11 aprile 2015

NOTE CASOLANE - Dalla Festa di Mezzaquaresima alla Festa di Primavera

1950, il carro "Libertà" della Società Peschiera (2° classificato)
Breve storia dei carri allegorici “di festa e di pensiero” di Casola Valsenio
(di Beppe Sangiorgi - Casola Valsenio, maggio 1995)

Nei primi mesi del 1891 un gruppo di artigiani del paese decide di organizzare anche a Casola Valsenio la Festa di Mezzaquaresima, detta anche della Segavecchia, come già si svolgeva in molti centri della Romagna. Una festa di origine pagana che interrompeva il grigiore della Quaresima con un giorno di Carnevale che comprendeva una fiera di bestiame, balli, giochi, la sfilata del carro della Vecchia: rappresentata da un enorme e grottesco mascherone e il corteo di carri accompagnati dal lancio di confetti e aranci.

La Vecchia, nella tradizione romagnola, era vista come la colpevole di tutti i mali della stagione agricola passata e per questa colpa, dopo un processo caricatura, veniva o segata o, come succedeva a Casola, bruciata in piazza tra canti, urla e balli con un rogo di purificazione e propiziazione della stagione che stava per iniziare. Alla sfilata pomeridiana partecipavano carri sia di tipo carnevalesco che inneggianti alla natura che stava per risvegliarsi, come Il giardino fiorito del 1896, o annunciavano e celebravano i grandi eventi che colpivano la fantasia degli uomini, come il passaggio del secolo.
Di anno in anno la Festa di Mezzaquaresima prese piede richiamando in paese la popolazione della campagna. Era insomma un “Carnevale in Quaresima” che nel 1908, come accusarono i socialisti del tempo, “fu abolito per volontà del clero”.
In sostituzione si tenne a metà del mese di maggio la Festa di Primavera con un carro fiorito al posto della Vecchia e con un corso pomeridiano di soli carri allegorici seri, ideati dal maestro Pietro Cortesi. Si trattava di carri di pensiero, che avevano lo scopo di divertire e di educare rappresentando eventi e idee attraverso figure plastiche immobili su strutture di legno, grigioli e gesso, innalzate su carri agricoli romagnoli. Il primo, a forma di nave che si slancia verso il mare, dal titolo Verso il mondo, celebrava il trionfo dell’uomo nella lotta per la conquista del mondo; l’altro, intitolato In difesa della Patria, ricordava l’epoca l’eroica impresa di Orazio Coclite.

La sfilata dei carri ebbe un gran successo ma non così la festa, tanto che si ritornò alla Mezzaquaresima, che però da quel momento si caratterizzò per la presenza di carri allegorici di pensiero e di meditazione che misero in ombra quelli carnevaleschi e divennero il cuore della festa: la Mezzaquaresima di Casola si trasformò così nell’unico Carnevale serio che si conosca.

Negli anni che seguirono, i carri, che sfilavano preceduti da un corpo bandistico, aumentarono di numero e si diversificarono in due filoni storici: da una parte i carri dei moderati illuminati che ricordavano i fatti della storia e invitavano a meditare sulle idee e sugli eventi solo con scopo educativo e celebrativo; dall’altra i carri più marcatamente politici. Questi ultimi erano realizzati dal nascente movimento socialista a cui aderivano soprattutto calzolai e operai del paese che vedevano nei carri un potente mezzo di comunicazione delle loro idee, grazie alle facili allegorie comprensibili anche da parte di un pubblico in gran parte analfabeta, qual era quello contadino che accorreva in paese per la festa. Basti ricordare il carro Ira di un giorno del 1912, col quale si esaltava la rivolta delle schiavo contro il padrone.

Fu così che attorno alla costruzione dei carri, che avveniva in segreto nei pressi delle case coloniche vicine al paese, si raccolsero in gruppi coloro che condividevano cultura e pensiero dell’ideatore del carro, creando anche una rivalità che è il sale e il nerbo di ogni festa, torneo o incontro di piazza e che immancabilmente sfociava nell’esultanza dei vincitori e nelle proteste degli sconfitti nei confronti della giuria che assegnava i premi ai carri.

La prima guerra mondiale interruppe la Festa di Mezzaquaresima che riprese nella seconda metà degli anni Venti, quando il fascismo favorì il recupero della cultura popolare e delle tradizioni del mondo agricolo. Ovviamente molti dei tre o quattro carri di ogni sfilata celebravano il nuovo regime, come ad esempio Italia Nuova, ma c’era anche chi con i carri faceva un discorso politico “non allineato”. Come l’antifascista Aurelio Acerbi che nel 1931 presentò il carro Le grandi tappe della storia nel quale si poteva leggere una critica al regime e per questo fu escluso dal premio e il suo autore colpito da ammonizione.

Poi i carri si uniformarono a una comune e generale esaltazione del fascismo. “I più bravi artieri del paese – si legge in una cronaca del 1933 – hanno costruito tre grandi carri simbolici: tra grandi sintesi fasciste che hanno suscitato un’ondata di entusiasmo”.
Negli anni Trenta, la omogeneizzazione dei temi provocò un calo di rivalità tra le società costruttrici, ma non dell’interesse della Festa che nel 1935 raggiunse l’apice, grazie all’Istituto Luce che diffuse nei cinematografi di tutta Italia le immagini di questo strano “Carnevale serio” di Casola. Infatti, è proprio di quegli anni un “Proclama di Messer Carnasciale per lo die di Mezza Quaresima” che annuncia una sfilata di carri simbolici e poi carri mascherati accompagnati dal lancio di stelle filanti e dolciumi e infine un gran veglione mascherato.

La seconda guerra mondiale interruppe la tradizione della Festa di Mezzaquaresima che riprese nel 1949, assumendo anche il tono della rappacificazione dopo lo sconquasso della guerra, pur nella rivalità che continuava ad accompagnare la costruzione dei carri.
Nella nuova condizione di libertà di pensiero, ideatori e costruttori poterono spaziare in tutti i temi: dalla celebrazione degli uomini e degli eventi che hanno contribuito al progresso dell’uomo, alla meditazione sui grandi temi della fratellanza, della pace e della giustizia. I carri di anno in anno diventano sempre più grandi, assumendo forme più ardire e di grande effetto. Basti ricordare Fermati uomo! del 1950; un carro contro la bomba atomica ideato da Giuseppe Pittàno, ancor prima dell’appello di Stoccolma; oppure Rumagna, ideato e presentato da Pellegrino Dardi nel 1952 con un colpo di scena: quando il carro fu in piazza, furono aperte le valve di una grande pavaraza e, tra la sorpresa generale, apparve una bellissima figura femminile che sorreggeva una caveja, simbolo della Romagna.

Intanto cambiava anche la società che si lasciava alle spalle abitudini e mentalità contadine per assumere quelle di una nascente industrializzazione. Un mutamento che nel 1954 impose lo spostamento della data dal giovedì di Mezzaquaresima alla domenica più vicina e nel traino i buoi bardati a festa lasciarono il posto ai trattori. Poi, nel 1967 esigenze turistiche imposero lo slittamento alla fine di aprile, un periodo più favorevole dal punto di vista climatico, cambiando il nome in “Festa di Primavera” e dallo scorso anno è stata chiamata “Favola di Primavera”, uniformandola al filone delle manifestazioni turistiche casolane.

Pur avendo mutato nome e data, la festa casolana organizzata dalla Pro Loco, conserva inalterati i caratteri tradizionali dell’inizio del secolo. Sfila ancora, preceduto dalla banda del paese, il carro della Vecchia che la sera viene processata e bruciata e sfilano ancora, preceduti dai corpi bandistici, i carri allegorici seri, ogni anno ricchi di forme nuove, di allegorie sempre più raffinate, di costumi e colori più ricercati e con dimensioni sempre più imponenti (alti fino a sei metri, accolgono anche venti figuranti). Ma, come agli inizi del XX secolo, i carri vengono ancora costruiti con legno e grigioli, coperti da un manto di gesso colorato.

E inoltre, come è sempre stato, i figuranti restano immobili in forme plastiche per tutto il tempo della sfilata: ogni quadro vivente è una pagina di letteratura popolare che appare come un curiosi discorso fatto alla piazza dai costruttori dei carri attraverso la dimensione fisica dell’allegoria a tutto tondo. Si tratta di un linguaggio che, anche nell’era del computer, conserva tutta la sua forza di comunicazione e di impatto emotivo per l’originalità delle idee, per la ricercatezza dei costumi e dei colori, per l’imponenza e l’arditezza delle forme. Un linguaggio che resta ancorato alla tradizione, pur adeguandosi ai mutamenti di costume e di cultura soprattutto perché sopravvive lo spirito con cui vengono costruiti e portati in piazza i carri: le società si ritrovano a lavorare attorno ai carri, spinte da un comune sentire, da un comune impegno culturale , sociale e civile e in alcuni casi anche politico. E come una volta i costruttori dei carri lavorano gratuitamente per oltre un mese, per la soddisfazione di un premio simbolico, per l’applauso della folla, ma soprattutto per l’affermazione dell’idea che esprimono.

E’ una spinta che concorre a mantenere vivo anche uno spirito di rivalità accesa (ma non astiosa) che, alla lettura del verdetto della giuria, provoca scene di esultanza e di proteste plateali che si protraggono per qualche giorno. Più a lungo dell’esistenza dei carri che, secondo la tradizione, immediatamente dopo il termine della sfilata iniziano a essere demoliti dai bambini, mentre l’idea e le immagini delle allegorie vanno ad arricchire la storia e la documentazione di questo curioso “libro” casolano ormai ricco di quasi duecento pagine, rappresentate da altrettanti carri, nelle quali, unendo il divertimento alla cultura, si sono spiegati e si spiegano al popolo i grandi temi, gli eventi, gli uomini e le idee che hanno contribuito e contribuiscono al progresso dell’umanità.

Casola Valsenio, maggio 1995


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