mercoledì 11 novembre 2015

Pagani: “E’ impossibile una reale prospettiva di sinistra al di fuori del PD”

di Alberto Pagani (Deputato PD)

Il 3 novembre, alla riunione dei gruppi parlamentari PD di Camera e Senato sulla Legge di Stabilità, i colleghi Alfredo D'Attorre, Carlo Galli e Vincenzo Folino hanno annunciato la loro uscita dal Partito Democratico. La loro decisione è stata preceduta, nei mesi scorsi, da quella di Stefano Fassina, Pippo Civati, Luca Pastorino e Monica Gregori. Molti alzeranno le spalle o tireranno un sospiro di sollievo, sottolineando cinicamente l'attivo del bilancio tra i parlamentari usciti dal PD e quelli entrati da SEL, Scelta civica, Movimento cinque stelle.

Altri, viceversa, spiegheranno che è la dimostrazione del fatto che il PD è cambiato geneticamente, che è diventato “un partito di centro che guarda a destra” e che non c'è più la sinistra. Io penso che prima di tutto abbiamo perso qualcosa come comunità, in termini di competenze, di valore intellettuale e di pluralismo. Certamente non siamo più ricchi o più forti, né gli uni e né gli altri. Oltre a questo: ho provato a capire le motivazioni politiche, l'analisi che le ha prodotte, l'intenzione di dare vita a un “progetto costituente per un nuovo New Deal e un nuovo umanesimo sociale” fuori dal PD (e che si è presentato domenica scorsa a Roma). Ma devo dire che non sono affatto d'accordo. E non è, come dice D'Attore, “il senso di responsabilità che viene dalla tradizione comunista” che agisce come prima istanza nella mia riflessione, bensì la diversa analisi del tempo che viviamo, del contesto e della situazione politica.
Prima dei conflitti interni al PD e delle insofferenze personali dei singoli parlamentari, io sono preoccupato dalla grande e minacciosa instabilità attorno a noi. Vedo l'instabilità del bacino del Mediterraneo, con il terrorismo integralista e l'Isis alle porte e con il riemergere di un nuovo Medioevo in parole come “crociati, infedeli, guerra santa”, vecchie di mille anni e capaci di evocare paure, generare reazioni di chiusura e rifiuto del diverso. Vedo poi tutta la difficoltà con cui un'Europa impaurita, instabile e ripiegata su se stessa sta affrontando le sfide che ha davanti. Vedo come la crisi economica, che ha colpito soprattutto gli strati popolari e il ceto medio, incroci la crisi dei profughi che scappano dai teatri di guerra, come la Siria, e che cercano aiuto. Vedo la rabbia di chi ha pagato in prima persona una recessione generata altrove, dall'ideologia neo-liberista e dalla speculazione finanziaria globalizzata, e ha perso il lavoro, dovuto chiudere un'impresa, smarrito la speranza nel futuro, nel proprio Paese, nelle istituzioni democratiche. E vedo allo stesso tempo anche le conseguenze sociali che i grandi flussi migratori producono, le difficoltà dell'inclusione e dell'integrazione nella comunità europea di milioni di donne e uomini che vengono da altri Paesi e da altre culture. Siamo nel bel mezzo di questo incrocio e nel tempo dell'offuscamento dei valori e degli ideali sui quali nacque il progetto europeo. Alla crisi economica e sociale è conseguita una crisi di legittimazione, non solo delle istituzioni comunitarie. Delegittimazione della politica, delle istituzioni nazionali, persino del modello democratico e liberale costitutivo dei sistemi occidentali. Così assistiamo smarriti all'indebolimento della più “grande potenza civile” del mondo, come la definì Romano Prodi, e al ripiegamento di molti Paesi nella difesa immediata ed egoistica del piccolo (e a volte meschino) interesse nazionale, o al successo elettorale dei partiti populisti della destra estrema, spesso fascisti o nazisti, costruito sulle paure, alimentate con la propaganda e la retorica dei muri e del filo spinato, delle ruspe, per difendersi dalle temute “invasioni”. In tutta Europa la risposta alle crisi che convince gli elettori non viene da sinistra, ma da destra. Il PSE ha perso le ultime elezioni Ue e la sinistra è stata sconfitta per il governo della Germania e della Gran Bretagna. E probabilmente, se si votasse oggi, in Francia la sfida sarebbe tra la destra di Sarkozy e quella della Le Pen. La stessa tendenza “a destra” vale poi per i principali paesi dell'Est Europa. Può sembrare quasi paradossale, ma l'Italia e il PD, in mezzo a questo sbandamento, rappresentano uno dei principali fattori di stabilizzazione e di tenuta della prospettiva europea, dei valori e degli ideali della sinistra. Il PD è il primo partito del socialismo europeo e uno dei pochi che in questo momento è al governo.
In Italia la destra di Berlusconi è poi schiacciata sulle posizioni della Lega di Salvini che, come il movimento di Beppe Grillo, investe sul fallimento del Paese e coltiva il campo dei timori, del razzismo, del populismo. Questa è l'alternativa se fallisce il PD di Matteo Renzi. Non sono un renziano dell'ultima ora e non intendo diveltarlo, ma a me pare del tutto evidente che l'alternativa al PD di Renzi non verrà da sinistra, ma dalla destra più regressiva. Che sia destra leghista o a cinque stelle, poco cambia. Per questo non capisco come si possa ritenere possibile, in questo momento, una reale prospettiva di sinistra al di fuori del PD. Mi pare una prospettiva velleitaria e ho sempre considerato il velleitarismo un grave errore politico, perché destinato sempre a produrre involontariamente gli effetti contrari a quel che si propone di conseguire. Per questa ragione, prima di tutto, continuerò a dire la mia opinione nel PD e a portare il mio modesto contributo al PD. A volte non condivido le scelte del gruppo dirigente, a volte le mie idee sono minoritarie, spesso non mi piace l'approccio arrogante e sbrigativo di Renzi, ma il PD è il mio partito e continuerò a lavorare nel mio partito e per il mio partito. Nelle prossime settimane inizieremo a discutere la Legge di Stabilità: per la prima volta da nove anni è una misura espansiva, che investe sulla crescita senza sballare i conti. È una legge che contiene molte iniziative importanti, che a grandi linee ho già illustrato e di cui tornerò a scrivere presto, e anche scelte che non condivido e che spero si possano correggere. Per questo lavorerò insieme ai colleghi, nel confronto parlamentare, per migliorarla. Ma senza perdere di vista il quadro generale e senza commettere l'errore di enfatizzare le quattro scelte su cui non sono d'accordo mettendo in ombra tutte quelle che invece apprezzo. E che penso facciano bene all'Italia e agli italiani.

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