Quel decreto è la cosa giusta
di Ernesto Auci (l'Unità, 12 dicembre 2015)
Stiamo ai fatti. Le quattro banche salvate erano sostanzialmente fallite da tempo. Il salvataggio è stato pagato con i soldi delle altre banche, che hanno sborsato ben 3,8 miliardi di Euro, e non con denaro pubblico.
Sono stati salvati tutti i depositanti e gli obbligazionisti ordinari e soprattutto si è evitato che un eventuale curatore fallimentare richiedesse subito indietro tutti i crediti avuti da imprese e privati con conseguenze catastrofiche per quei territori.
Le nuove banche sono ora ricapitalizzate e potranno essere cedute ad altri gruppi, e soprattutto è stato salvaguardato il posto di lavoro di alcune migliaia di impiegati e la possibilità per questi istituti di dare un servizio finanziario all’economia locale.
Le nuove regole europee sui salvataggi bancari, enunciate fin da 2013 e che entreranno in vigore il prossimo primo gennaio, impediscono di scaricare le perdite delle banche sul bilancio dello Stato ed obbligano a concorrere al risanamento gli azionisti e i possessori di obbligazioni subordinate. Dal prossimo anno dovranno partecipare anche gli altri obbligazionisti ed i possessori di depositi diammontare superiore a 100 mila Euro, quindi presumibilmente imprese o enti pubblici.
In questo quadro è chiaro che il salvataggio era urgente, ed è stato fatto sostituendo tutti i managerse senza gravare sui cittadini con nuove tasse.
Ma un evento così clamoroso ha aperto tre grossi problemi che bisogna affrontare senza porre le basi per nuovi disastri e senza dar troppo retta al vociare scomposto dei Salvini o dei Grillo che non hanno nessuna proposta concreta ma sfruttanosolo i drammi individuali per il loro particolare interesse. I problemi sono:
1) i risparmiatori che si sentono ingiustamente penalizzati dalle nuove regole;
2) il contenzioso con Bruxelles;
3) il futuro delle banche e le carenze del loro funzionamento e quello degli organismi preposti al controllo. Si tratta di problemi intrecciati che devono essere valutati congiuntamente.
Per quel che riguarda Bruxelles è oggi inopportuno insistere in una polemica che non può avere sbocchi positivi. La nuova normativa è stata approvata da tutti i nostri partiti e svegliarsi solo ora non porta a nulla.
Casomai sarebbe il caso di insistere sul completamento dell’unione bancaria specie per quel che riguarda la messa in comune della salvaguardia dei depositi (ostacolata dalla Germania) e dal lato Bce sull’eccesso di regolamentazione che colpisce in particolare le banche italiane che hanno molti titoli di Stato in portafoglio.
I risparmiatori che posseggono obbligazioni subordinate sostengono di essere stati truffati dalla propria banca che aveva garantito loro che non avrebbero corso nessun rischio. E’ probabile che in molti casi la vendita di queste obbligazioni, come pure delle azioni di queste banche, sia avvenuta senza una illustrazione adeguata dei rischi che si correvano, anche perché in passato lo Stato era sempre intervenuto a salvare tutti, banchieri compresi. E qui entra in gioco il ruolo delle istituzioni
che dovevano controllare, Consob e Banca d’Italia, e la gestione delle banche stesse, il cui sistema di governance non si certo dimostrato trasparente ed è apparso spesso inquinato dalla politica e dalle camarille affaristiche.
È evidente quindi che prima di procedere ad eventuali rimborsi ai risparmiatori truffati, (e non si parla degli azionisti, dato che in quel caso il rischio è insito nel titolo) occorre una indagine approfondita per individuare le responsabilità di quanto avvenuto in modo da capire se si tratta solo di carenze regolamentari o se invece ci siano state delle vere e proprie colpe o responsabilità per mancata vigilanza. A questo punto si potranno anche avviare delle azioni giudiziarie nei confrontidi chi ha truffato o si è appropriato indebitamente di prestiti non restituiti oppure ha mancato di vigilare.
Così sarà più chiaro che l’aiuto umanitario che viene dato alle “fasce deboli” riguardasolo questo singolo caso e non può essere esteso a tutti i risparmiatori che per un motivo o per l’altro dovessero in futuro registrare perdite dai loro investimenti. Ma la questione più rilevante dalpunto di vista dell’interesse generale è capire e chiarire cosa è successo al sistema bancario e quale può essere il suo assetto futuro tale da garantire la fiducia del pubblico nei suoi confronti.
Non bisogna dimenticare infatti che il primo bene per una banca è la “reputazione”. Se questa viene meno il sistema non può funzionare. Poiché le nuove regole europee impongono una maggiore responsabilità ai risparmiatori è necessaria in primo luogo una grande campagna di informazione
da parte del settore finanziario e dello Stato in modo da spingere i risparmiatori a selezionare le aziende di credito e gli acquisti di titoli in base all’affidabilità delle aziende stesse.
Questo dovrebbe spingere le banche verso una gestione più trasparente e più efficiente con vantaggi per tutto il sistema economico. Ma da solo il mercato non può fare rapidamente i passi avanti che occorrono. Ci vogliono probabilmente nuove regole capaci di rompere i vecchi schemi e di accelerare l’evoluzione del sistema verso soluzioni più efficienti. La riforma delle banche popolari è andata in questa direzione ed ha rotto finalmente il monopolio di alcune oligarchie locali che per miopia resistevano ad ogni cambiamento pur avendo portato diverse banche sull’orlo della crisi.
In definitiva ci vogliono norme più rigorose che spingano le banche alla ricerca di assetti più produttivi e soprattutto più trasparenti, una buona vigilanza, ed una maggiore consapevolezza da parte dei risparmiatori. Ma bisogna evitare di ripristinare un sistema di garanzie generali ed assolute da parte dello Stato, non solo perché proibite da Bruxelles, ma perché si sono dimostrate un comodoparavento dietro il quale gli alti dirigenti bancari potevano fare i propri comodi.
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