sabato 19 dicembre 2015

NOTE CASOLANE - Quando la guerra arrivò a Valsenio

Due testi di Giuseppe Pecio Pittàno, scritti nell’ottobre 1943 e nel gennaio 1945, recuperati da Massimo Pittàno che ringraziamo per avercene fatto dono.

Già la luna è salita in alto fra le stelle: ha spento le più vicine, altre brillano ancora all'orizzonte. Qualche cirro vagante s'ammorza dietro la cresta massiccia del Monte Mauro, la cui sagoma risplende nel pallore calcareo in fondo alla valle.
Ho lasciato il paese assonnato nelle casupole stanche: sui tetti umidi di luce gli ultimi comignoli spengono le veglie già tarde.
Ottobre ha appassito le foglie sui piccioli inerti che scricchiolano sulla massicciata che l'ombra di rami spogli rompe di quando in quando.
La strada biancastra scende lentamente per risalire di nuovo fino al cipresso del Cardello: siamo nel paese di Oriani.
La casa dello scrittore nelle sue linee architettoniche austere, ricorda la foresteria di un convento.
In lontananza, fra le conifere, un abside e un campanile a doppia vela dirigono la via.
E' più bella Valsenio, più suggestiva stasera.
La pieve s'adagia regina ai piedi dei colli, ad ammirare l'opera che nel buio dei primi secoli di barbarie i monaci hanno compiute ammantando di boschi, di pineti, di oliveti, di vigne, le spalle già nude dei colli degradanti.
Sul sagrato erboso, la facciata della prioria balza improvvisa fra le foglie aghiformi degli abeti.
Non mancò di gusto quel santo che cercò asilo nel silenzio della valle del Senio per erigervi la sua chiesa-monastero: l'aveva mandato S. Zenobio questo nuovo Sturmi , così la tradizione.
La struttura esterna però ci richiama piuttosto ai costruttori ravennati del quinto o sesto secolo; le sue linee armonizzano con altre dell'epoca come S. Vittore di Ravenna, S. Pietro in Silvis di Bagnacavallo.
La facciata mostra la partizione interna da due contrafforti corrispondenti all'asse delle pilastrate laterali.
Il frontone della navata centrale ricorda la bifora ricoperta da un intonaco cadente che lascia scorgere le antiche fattezze.
I fianchi esterni mostrano un ordine di piccoli archetti pensili spartiti in cinque in cinque da una lesena gravante su una cornice sporgente di sassi.
Nell'abside semidecagono, pieno di ombre nelle profonde strombature, il campanile a doppia vela dirige la rotta della barca di Pietro in questo mare di luce.
Tace la voce, il nocchiero assopito non osa frangere questa pace. La nave cullata in una marea di scintillanti fruscii sembra godere di questa sua solitudine che dice tante cose: parla di quindici secoli in questo seno di pace, le luci e le ombre passate sul sagrato, le teste degli oranti chinate sui petti e

…sui dischiusi tumuli per quelle
chiese, prostrati in grigio saio i padri
sparsi di turpe cenere le chiome nere fluenti,
aspettando di raggiungere il porto della pace.

Accanto alla prioria, il cimitero sembra vivere, le tombe si allineano le une alle altre, su ogni zolla una croce, sugli abeti grevi fruscianti, le anime posano a riflettere al lume della luna.
Sulla soglia un cancelletto di ferro battuto.
A quel cancello soleva sostare un uomo alto, pensoso.
Immobile come una figura michelangiolesca vegliava coi vivi per sempre.
Oriani scendeva ogni sera al cimitero, dove il padre suo nascosto sotto la lapide bianca fra l'edera, parlava al suo spirito.
Perché la notte è la vita che parla di ore, di giorni, di anni, di secoli che impone agli uomini il silenzio, ai morti la voce.
All'ombra delle tacite conifere, Oriani pure volle essere sepolto, nel “piccolo cimitero di Valsenio a fianco di papà senza pompa come si seppelliscono i poveri. Fra l'erba bruna bruna tra la quale si baloccano i passeri e vi regna una pace profonda, dove nessuno verrà a cercarmi là dentro, perché le sventure si arrestano interdette sulla soglia"
 
Ottobre 1943

* * * * *

E' plenilunio ancora: plenilunio bianco, nevoso.
Nello splendore selenico sembra che la natura si beffi della nostra cura.
 E' tacita la via, buie le case, non un alito di vita.
La massa calcarea della Cresta dei Gessi dà riflessi quasi metallici di là da quella, a poche centinaia di metri da noi i tedeschi vegliano da mesi: hanno fatto le tane nella roccia e non si snidano.
Il nostro passo è leggero, la neve non cade, scricchiola sotto i chiodi delle scarpe.
A fianco della strada ricordi di alberi.
Vigilia calma, il fronte dorme per poco.
Una colonna di muli ci passa a fianco, soldati indiani, più neri ancora nel biancore della neve, salutano in silenzio vanno in linea.
- E' ancora distante Valsenio?
- No capitano. Ancora cento metri. Vede quel campanile a vela colle occhiaie vuote fra quegli abeti?
Le nostre vesti bianche hanno riflessi quasi lattei, le nostre ombre giocano sulla neve. Una pattuglia ci ferma, il capitano parla con un sergente e proseguiamo. Il ponte di ferro non ha eco, la neve attutisce i passi.
Siamo in prima linea, al comando di linea.
Il portone del cortile é chiuso, uno spioncino si apre e si chiude di nuovo: un battente scricchiola sui cardini. Il capitano entra: io rimango fuori.
La sentinella passeggia ora davanti alla chiesa, ai resti della chiesa poiché una bomba di aereo ha demolito il soffitto, il rivestimento posteriore è crollato mettendo a nudo la primitiva chiesa, i piccoli archetti pensili, le strombature originali.
L'abside è rimasto intatto e su di esso il campanile non ha più voce: la bufera vandalica ha strappato i bronzi della pace per disperdere gli uomini, ma le braccia scheletriche e le occhiaie vuote chiamano ancora perché la barca non è perduta: la vela dirigerà ancora la via nella tormenta; il nocchiero si risveglierà alla nuova alba par riprendere il largo.
Sulle cornici esterne dalle linee purissime la neve ha creato la sua architettura barocca, sulla inferriata del cancello del cimitero ha tessuto un ricamo bianchissimo.
Nel muricciolo le granate hanno aperto un varco ma i morti non hanno levato il capo: vivono ancora la loro vita sotterranea, ignari forse che tanti altri oltre il muricciolo sotto la neve, fra gli sterpi, attendono la pace della tomba.
La sentinella è rientrata, il battente del portone si è chiuso, la sagoma bianca del capitano ha ripreso la via, io dietro di lui.
Fra poco il rullio delle artiglierie desterà gli uomini alla guerra.
Nel cielo la luna è ancora pallida.
Le stelle hanno pianto: hanno ancora la palpebre tremule inumidite.

Gennaio 1945

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