lunedì 5 settembre 2016

Quello che la Spagna ci dice (e non si vuole sentire).

Il leader della destra spagnola, Mariano Rajoi
prof. Salvatore Curreri (Professore in Istituzioni di Diritto pubblico)
dal sito dell'Huffington Post

È comprensibile l'imbarazzato silenzio che i detrattori al "combinato disposto" riforma costituzionale-Italicum riservano a quanto sta accadendo in Spagna, dove, dopo la bocciatura di venerdì scorso dell'investitura di Rajoy, si rischia nel giro di un anno di andare a votare per la terza volta (!) a Natale (!!), alla disperata ricerca di una maggioranza parlamentare che gli elettori (testardamente?) non vogliono delineare. Al massimo, costoro tendono a derubricare il caso spagnolo a mera eccezione della regola provvidenzialistica per cui una soluzione politica per il bene del Paese alla fine si trova sempre.

Invece, ahinoi, il caso spagnolo è tutt'altro che eccezionale. Situazioni di potenziale ingovernabilità si sono avute in Belgio (541 giorni senza governo dopo le elezioni del 2013), in Gran Bretagna (dopo le elezioni del 2010), in Francia (dopo l'exploit al primo turno del Fronte Nazionale della Le Pen nelle elezioni locali di quest'anno), in Germania (grandi coalizioni tra cristianodemocratici e socialdemocratici del 2005 e del 2013 e magari domani, visto il successo di ieri dell'Alternativa per la Germania).

Ciò ora accade sempre più di frequente perché le forze politiche non si dividono più solo secondo il tradizionale asse destra - sinistra ma sulla base di altre linee di frattura: il rapporto centro - periferia; le identità linguistiche e magari un domani religiose; il rapporto con l'Unione europea e le sue politiche; la ribellione contro la "casta" politica; la difesa della (pretesa) identità nazionale dalla "invasione" dei migranti, ecc. Da qui la nascita e il successo in Europa di movimenti cosiddetti antisistema (Alba dorata in Grecia; Podemos in Spagna, il Fronte nazionale in Francia, il partito indipendentista in Gran Bretagna, la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle in Italia, l'Alternativa in Germania, ecc.).

Da tali situazioni di empasse come se n'è usciti? Talora con accordi di coalizione di cui il partner minore di governo ha sempre pagato le conseguenze nelle successive elezioni (liberali in Gran Bretagna, socialdemocratici in Germania), ora attraverso riforme che hanno aggravato tali fratture (Belgio), ora tramite sistemi istituzionali ed elettorali (doppio turno francese).

In Italia dopo le elezioni del 2013 eravamo nella stessa situazione politica, aggravata però rispetto al contesto europeo da un sistema istituzionale in cui il Governo deve avere la fiducia da due camere elette da un elettorato diverso e con diverse leggi elettorali (premio di maggioranza nazionale alla Camera, regionale al Senato). Pochi però ricordano, o fanno finta di non ricordare, che la stessa situazione di potenziale ingovernabilità si è avuta nel 1994 (quando il governo Berlusconi I ebbe la fiducia al Senato grazie ad alcuni senatori eletti con il Patto Segni), nel 1996 (quando il Prodi I ebbe la fiducia alla Camera grazie a Rifondazione comunista), nel 2006 (quando il Prodi II ottenne la fiducia al Senato grazie al voto di alcuni senatori a vita). Questi sono fatti, non chiacchiere.

Di fronte a questa situazione cosa prevede il famigerato "combinato disposto"? Innanzitutto, elimina l'eccezione tutta italiana per cui il Governo debba avere la fiducia anche del Senato. In secondo luogo, interviene sulla legge elettorale, dando agli elettori il potere di decidere la maggioranza parlamentare, proprio per evitare ciò che la Spagna in questi mesi dimostra non essere un caso impossibile, e cioè che il paese vada in stallo perché le forze politiche non trovino un accordo.

Il problema allora è: quanta rappresentatività si è disposti a sacrificare per garantire la governabilità? Tutti i sistemi elettorali, seppure in modo diverso (il maggioritario secco in Gran Bretagna, il doppio turno in Francia, il collegio provinciale in Spagna, la soglia di sbarramento in Germania, il premio fisso di maggioranza in Grecia:..) si muovono in questa direzione, per creare le condizioni di governo laddove il sistema politico di per se non riesce a garantirle. Non è vero, quindi, che i sistemi elettorali selettivi presuppongo sempre e comunque assetti politici bipolari. Anzi, è vero il contrario: ai primi si ricorre quando i secondi non vi sono. E infatti l'Italicum è stato approvato dopo che le elezioni politiche nel 2013 avevano evidenziato l'attuale assetto tripolare.

L'Italicum s'inserisce pienamente in questo contesto, assegnando un modesto premio di maggioranza (il 54%, il minimo vitale per chi voglia governare) non alla maggiore minoranza del primo turno - come scorrettamente i suoi detrattori sostengono - ma alla maggioranza che ha vinto il secondo. Infatti, come ha ricordato la Corte costituzionale, la stessa che aveva poco prima dichiarato incostituzionale il c.d. Porcellum, "le votazioni al primo e al secondo turno non sono comparabili ai fini dell'attribuzione del premio", il cui "meccanismo di attribuzione (...) e la conseguente alterazione della rappresentanza non sono pertanto irragionevoli, ma sono funzionali alle esigenze di governabilità dell'ente locale, che nel turno di ballottaggio vengono più fortemente in rilievo" (sentenza n. 275/2014, 3.2 cons. dir.).

I critici - vecchi e nuovi - dell'Italicum, terrorizzati dall'"effetto Appendino" (per me molto sopravvalutato: un conto è decidere il governo di una città, altro il governo del paese), scoprono ora improvvisamente che nei ballottaggi sono gli elettori dei partiti esclusi a decidere, dimenticando che dal 1993, da quando cioè è stato introdotto il doppio turno per l'elezione del sindaco, può capitare, e capita, che il candidato più votato al primo turno sia sconfitto al secondo, senza che nessuno - Corte costituzionale compresa - finora abbia gridato alla violazione del principio democratico.

E a chi, forse meno ipocritamente, paventa il rischio che tramite l'Italicum il Movimento 5 stelle possa andare al governo, va ricordato che per esso varrebbero le stesse garanzie, gli stessi freni e contrappesi istituzionali che varrebbero se andasse al governo il centro sinistra o il centro destra.

Non si è disposti ad accettare tale prospettiva? Bene. Ma allora, per coerenza, non ci si lamenti domani se non si riuscirà a formare il governo oppure se, per farlo, si dovrà ricorrere al voto di parlamentari transfughi, provenienti da partiti opposti. Vorrà dire che avrà ragione chi sostiene che l'instabilità dei governi e il trasformismo politico - dalle nostre parti spesso ispirato non al bene supremo della Nazione ma a parziali, e talora inconfessabili, interessi - sono gli storici e immarcescibile connotati del nostro sistema parlamentare.

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