Pier Luigi Bersani alla Festa di Pesaro |
"Prima di ogni altra cosa, anche da me e a nome vostro un abbraccio a ciascuno dei nostri volontari che hanno il posto d’onore di questa Pesaro in festa. Un grazie ai volontari di questa e delle altre 3.000 Feste del Partito Democratico.
Siamo al nostro record. Le feste crescono e il Partito cresce.
Con il volto dei nostri volontari noi presentiamo all’Italia il meglio di quello che siamo, così come tutti i volontari d’Italia, nel sociale, nel civile, nell’ambiente e nella cultura, sono il meglio del nostro Paese.
E’ l’Italia che ci piace di più, l’Italia popolare, solidale e onesta, l’Italia che fa il proprio dovere e che si mette a servizio, l’Italia che si rimbocca le maniche e che dà una mano.
Questa Italia la si può trovare negli stand delle nostre Feste, dove ognuno può incontrare donne e uomini, nuovi italiani, anziani e tanti giovani. Giovani di quelli che conoscono internet, facebook e twitter e che ci dicono di una modernità possibile e vera, di una rete che non ti imprigiona ma che fa crescere la tua libertà di pensiero e la tua voglia di stare con gli altri.
Grazie a Pesaro, città civile, meravigliosa e accogliente, grazie ai suoi cittadini, ai suoi amministratori, grazie ai dirigenti pesaresi e marchigiani del Partito Democratico per lo sforzo che hanno prodotto e per lo splendido risultato. Pesaro, le Marche: la civilissima Italia di mezzo così cara al Partito Democratico.
L’Italia in cui il lavoro, la natura, la cultura si sono date la mano da sempre, fino a produrre la cifra più alta e riconoscibile della qualità italiana. La Festa di Torino e quella di Pesaro hanno scandito il 150° dell’Unità d’Italia. Salutiamo chi la rappresenta con straordinaria forza e dignità: il nostro Presidente Giorgio Napolitano. Diciamogli ancora una volta che ci sentiamo figli dell’Unità del Paese e figli fedeli della sua Costituzione, la più bella del mondo!
Il 150° ha riscaldato il cuore degli italiani, i nostri cuori. Con la coccarda tricolore ci siamo sentiti a nostro agio. La destra no. Noi sì. Noi ci sentiamo patrioti, senza se e senza ma.
Ci siamo ripresi questa grande parola, patriota, una parola violentata e usurpata dal nazionalismo e dall’imperialismo del primo novecento. La parola che fu prima dei giacobini, poi dei democratici, degli irredentisti e infine settanta anni fa dei resistenti, dei liberatori, dei costituenti. La parola del 25 Aprile, data sacra che abbiamo difeso e che nessuno cancellerà.
Non ci sequestreranno più le parole, parole come libertà; non ci sequestreranno più canti, canti come Va Pensiero. Basta, ce lo riprendiamo quel canto, e lo riconsegniamo a tutti gli italiani.
Continueremo a tener vivo il nostro patriottismo costituzionale.
Annuncio qui che la prossima festa nazionale del Partito Democratico si terrà a Reggio Emilia, città del Tricolore.
E riaffermiamo qui da Pesaro la nostra identità di Partito. Partito di patrioti, di autonomisti, di riformatori. Partito del lavoro, della Costituzione, dell’unità della Nazione. Partito popolare del secolo nuovo.
E affermiamo i nostri valori: l’uguale dignità e libertà di tutte le donne e gli uomini del mondo, la solidarietà, il civismo, la responsabilità verso gli altri e verso la natura. Valori che vogliamo si riconoscano in ogni piccola o grande cosa che facciamo, convinti come siamo, lo abbiamo detto più volte, che guardando il mondo con gli occhi dei più deboli si può fare una società migliore per tutti. Fra Torino e Pesaro, un anno cruciale ha segnato un culmine della più grave crisi che le società sviluppate abbiano conosciuto dal dopoguerra ad oggi. Quel culmine ha sorpreso l’Italia nel luogo dove non avrebbe dovuto essere: sul fronte più esposto, nella situazione più grave e più rischiosa. No, la settima potenza industriale del mondo, un paese fra i primi dieci più ricchi, non avrebbe dovuto trovarsi al centro della tempesta. La crisi è mondiale, certamente. E’ mondiale. E noi abbiamo un’idea delle sue cause. Non è la stessa idea di chi ci ha portati fin qui, di chi ci ha portati al disastro e ancora dirige il traffico, ancora propone le sue rovinose ricette. A cominciare dagli Stati Uniti, invece di far crescere e remunerare il lavoro, invece di garantire redistribuzione della ricchezza e progressività fiscale, invece di promuovere sicurezza sociale, si è spinto su un abnorme debito privato che la finanza ha trasformato in un enorme castello di carta. Il ciclo conservatore ha fornito la sponda politica e culturale allo sviluppo disastroso di quel meccanismo. Adesso quel debito privato e quel castello di carta sono diventati debito pubblico. Un debito che si fa ricadere sugli investimenti, sull’occupazione, sul welfare provocando una stagnazione economica che rischia a sua volta di aggravare quel debito. Una drammatica spirale che aggredisce ad uno ad uno i Paesi più esposti senza in realtà risparmiare nessuno. E ancora le forze e i meccanismi e le politiche economiche che ci hanno portati fin qui pretendono di spiegarci come se ne esce! Ancora non si affaccia quello che in realtà ci vorrebbe: una visione politica capace di rivolgersi all’economia reale, di far sì che gli scambi globali non determinino diseguaglianze colossali e pericolosi squilibri; una visione politica capace di produrre un controllo democratico dei movimenti di capitale e della finanza e di orientare lavoro, investimenti e consumi verso modelli di crescita che privilegino i beni comuni e l’equilibrio sociale e ambientale. Sotto a tutto questo, si nasconde un problema ancor più di fondo. Una crisi della democrazia e della politica che perdono efficacia e quindi credibilità perché non si mostrano attrezzati a dominare gli sconvolgenti e repentini mutamenti di questa fase, di governare fenomeni globali che si scaricano senza controllo alla porta di casa dei cittadini: dalla finanza al riscaldamento del pianeta, dalle migrazioni agli orientamenti della ricerca sensibile, dalla concorrenza in dumping sulle merci e sul lavoro, alla pace e alla guerra nei diversi angoli del mondo.
Sono fenomeni che scuotono modelli sociali, economici e fiscali che ci hanno accompagnati fin qui, in particolare nella vecchia Europa. Si sparge l’idea che le cose non potranno essere come prima, senza che si sappia precisamente come saranno, domani, le cose. Ecco allora aprirsi lo spazio per le paure, per le scorciatoie difensive, per messaggi populisti e qualunquisti che si presentano con il volto della medicina e sono invece un pezzo della malattia. E’ questa la carta che le destre hanno giocato in modo vincente in Europa, la carta che le ha aiutate a vincere ma che oggi impedisce a loro di governare i problemi e di indicare un orizzonte. Dopo l’Euro e nella globalizzazione, la destra ha guidato l’Europa verso un ripiegamento nella dimensione nazionale, regionale, e corporativa. Difendersi in luoghi e in interessi omogenei per salvarsi: questa fallimentare ricetta ha fatto strada e ha azzoppato la prospettiva europea.
Da madre benefica, l’Europa, anche per difetti nella sua costruzione da cui le forze progressiste non sono rimaste immuni, è diventata matrigna e davanti alla crisi ci siamo trovati privi del nostro fondamentale presidio. Ecco allora, da Pesaro, un messaggio che stiamo portando e che porteremo con più forza a tutti i progressisti europei. Nei prossimi dodici mesi si voterà in Spagna, in Francia, in Danimarca, in Polonia, in Romania, in Slovenia, in Serbia, in Croazia, in Lettonia forse in Italia e dopo pochi mesi in Germania. Proponiamo di portare a compimento una piattaforma comune dei progressisti che rilanci il sogno europeo. Nel ripiegamento vince la destra. Il sogno europeo è la bandiera dei progressisti. Deve rinascere, questo sogno, nella concretezza drammatica di questa crisi. Strumenti europei per il debito, per gli investimenti e la crescita; un’armonizzazione delle politiche economiche e fiscali. Interventi che facciano pagare alla finanza e non all’occupazione e al welfare quel che la finanza ha provocato; una sola politica estera, una sola politica di difesa, una voce sola nel mondo. Siamo il continente più ricco e più forte, la più grande potenza industriale, il più ricco mercato interno. Il mondo aspetta da noi europei un contributo vero. Divisi non contiamo nulla e a uno a uno finiremo nelle retrovie del mondo nuovo. Tutti assieme possiamo prenderci il nostro ruolo e darci un futuro. E noi un futuro lo vogliamo, lo pretendiamo, per i nostri figli, per l’Italia di domani. E l’Italia, in questa Europa? Pensiamo amaramente dov’è finito il nostro antico destino di anticipatori. Fummo antesignani dell’Europa con Altiero Spinelli e ci siamo ritrovati ad essere anticipatori, propagandisti e alfieri della risposta populista. Con Berlusconi e con la Lega ecco la ricetta che la destra italiana ha offerto all’Europa: riti domestici, piccole patrie, regressioni democratiche e civiche di ogni genere, modelli personalistici sconosciuti alle democrazie del mondo, ostilità al diverso, ripiegamenti corporativi, una predicazione antistato e antipolitica, una comunicazione ossessiva e demagogica… e il risultato qual è stato? Siamo diventati strapuntino dell’Europa e del mondo, abbiamo perso colpi e posizioni in ogni campo misurabile della vita economica e civile, siamo finiti nell’epicentro della crisi. Ecco dunque le accuse che rivolgiamo al Governo e alla maggioranza di Berlusconi e della Lega. Non certo di aver provocato la crisi mondiale! Non li accusiamo di questo! Li accusiamo di aver accompagnato, governando otto anni degli ultimi dieci, lo scivolamento impressionante dell’Italia sotto ogni parametro di confronto con i Paesi europei. Li accusiamo di aver mentito agli italiani occultando ed ignorando la crisi e di aver aggravato la crisi con politiche dissennate. Di questo li accusiamo! Li accusiamo di essersi occupati dei fatti loro e non dei fatti degli italiani. Li accusiamo di aver leso la coesione nazionale e la coesione sociale, di aver allontanato Nord e Sud, di aver scelto consapevolmente la divisione del mondo del lavoro, di aver indebolito i diritti del lavoro e di aver chiamato sussidiarietà l’arretramento dei doveri dello Stato e il venir meno di fondamentali regole comuni. Di questo li accusiamo! Li accusiamo di aver colpito la scuola, la ricerca, la conoscenza recando una drammatica lesione al muro portante del nostro futuro. Li accusiamo di aver svilito la dignità della donna; di aver svilito agli occhi del mondo la dignità della nazione. Li accusiamo infine di aver voluto e di voler sopravvivere truccando le carte senza avere più né la forza per governare, né la fiducia degli italiani e di lasciare il Paese senza timone e senza rotta, senza un orizzonte credibile, senza la possibilità di un richiamo giusto e forte ad uno sforzo comune per la riscossa. Di tutto questo li accusiamo! Ma non ci fermiamo alle accuse. Noi non abbiamo in testa Berlusconi. Noi abbiamo in testa l’Italia, gli italiani e le prospettive dei nostri figli. Partiamo dunque da qui. E ci chiediamo e chiediamo: qual è la sfida che l’Italia ha davanti? La nostra risposta è questa: l’Italia è di fronte, allo stesso tempo, sia ad una emergenza drammatica sia ad una esigenza profonda di ricostruzione democratica e sociale dopo dieci anni di sbandamento e di perdita di futuro. Affrontare con decisione il presente e conquistarci un futuro. Ecco il compito al quale guardiamo con determinazione e con fiducia. Davanti a questo compito una forza come la nostra dà le sue risposte programmatiche e politiche e cioè dice che cosa bisogna fare e chi deve farlo. Noi lo diciamo. Lo dicano anche gli altri, finalmente! Le forze politiche, certo, ma non solo loro, lo dica chiunque abbia un ruolo di direzione o di orientamento nella società. E’ tempo di parole chiare. Il conformismo di questi anni è stato complice di chi ci ha portato fin qui. Adesso almeno si prenda atto che il Partito Democratico ha sempre detto la verità, non si è mai staccato dalla realtà, ha visto quello che stava arrivando, ha sempre avanzato le sue proposte alternative. Chi è onesto adesso deve riconoscere tutto questo e questo ci dà oggi il diritto di essere ascoltati come si ascolta una forza di governo. L’emergenza, dunque. Inutile interrogare ogni giorno borse e spread per avere segnali che durano un giorno. Le cose sono chiare. A pochi passi da noi c’è un precipizio finanziario che può destabilizzare non solo noi, ma l’Europa. Se siamo troppo grandi perché gli altri ci abbandonino, siamo anche troppo grandi perché gli altri ci salvino. Che cosa fare, dunque, qui e subito, che cosa fare dopo manovre, manovrine, aggiustamenti di manovre e manovrine, dopo 49 voti di fiducia che hanno solo moltiplicato la sfiducia?
Quest’ultima manovra in corso non può metterci fuori dai guai. Questa manovra dà per scontate cose che non possono succedere. Non si possono togliere venti miliardi dall’assistenza o dalle detrazioni fiscali, non è possibile!
Questa manovra non mette sotto controllo vero la spesa corrente. Questa manovra non chiede soldi a chi ce li ha, chiede soldi a chi non ce li ha! Tra assistenza, detrazioni, aumento dell’IVA, taglio drammatico ai servizi degli Enti Locali, tutto il peso cade sui ceti popolari e sui ceti medi. E cade sull’occupazione attraverso l’azzeramento degli investimenti e l’assenza totale di misure per la crescita. E allora, fare presto, sì, ma fare bene! Fare solo presto senza fare bene significa essere daccapo il mese prossimo in condizioni sempre più difficili. Mentre dunque noi siamo in ogni luogo, in ogni assemblea,in ogni piazza in cui si protesta rivendicando una manovra più credibile perché più equa, noi siamo pronti alla Camera, come eravamo pronti al Senato, a dare il contributo delle nostre proposte. E non si dica per favore che quel che proponiamo non è possibile! Per dare addosso alla gente comune è sempre tutto possibile, quando si disturba chi è al riparo tutto diventa impossibile. Perché dovrebbe essere impossibile mettere norme più stringenti per risparmi della pubblica amministrazione e della politica? Perché dovrebbe essere impossibile una imposta sui grandi patrimoni immobiliari, che hanno tutti nel mondo?
Perché dovrebbero essere impossibili misure vere, efficaci sull’evasione fiscale, presenti negli altri Paesi europei? Perché sarebbe impossibile chiedere un contributo straordinario agli scudati anonimi che hanno pagato il 4% invece del 40? Perché sarebbe impossibile fare liberalizzazioni vere per i farmaci, la benzina, le assicurazioni, le professioni?
Perché sarebbe impossibile ricavare da tutto questo un po’ di risorse per stimolare investimenti e occupazione a cominciare dagli interventi degli Enti Locali che sono stati invece massacrati? E perché non dovrebbe essere possibile, invece di colpire a tradimento con l’articolo 8 l’accordo del 28 giugno, far leva piuttosto su quell’accordo per mettere in moto un po’ di crescita? Volete davvero una manovra forte? Ecco una manovra forte! E sia chiaro di fronte ad esigenze pressanti per il pareggio di bilancio, noi siamo pronti anche ad accrescere la portata delle nostre proposte, ma sempre in quelle due direzioni: 1°) risparmio della pubblica amministrazione; 2°)risorse dalla rendita, dalle ricchezze, dai patrimoni. Ricordiamoci sempre che il 10% degli italiani possiede il 50% delle ricchezze del paese. Se c’è da trovare altri soldi si trovano lì! Ci sono diversi modi per trovarli, abbiamo le nostre idee, ma si trovano lì, in quel 10% di italiani che sono stati messi completamente al riparo. Infine, a proposito di emergenza, diciamo chiaro che non si può raccontare né agli italiani né al mondo che chi ci ha portato in questa situazione può davvero tirarcene fuori. Se non si annuncia una novità politica, come altri hanno fatto in Europa; se non si annuncia un percorso politico nuovo la fiducia non tornerà e gli italiani butteranno al vento i loro sacrifici. E’ per questo che confermiamo la nostra disponibilità a discutere di un passaggio, di una transizione che sia affidata ad un Governo più credibile davanti all’opinione pubblica nazionale ed internazionale, credibile per discontinuità, per autorevolezza, per un programma equo ed efficace di stabilizzazione. Un Governo che possa reggere l’emergenza, dare il tempo per una riforma elettorale e portarci ad un confronto elettorale con nuovi protagonisti, nuove idee e, finalmente, con uno sguardo sul futuro! Sappiamo bene che tutto ciò presuppone un passo indietro del Governo o della sua maggioranza o di una parte della sua maggioranza. Sento finalmente qualche voce autorevole, Confindustria e non solo lei, che allude all’esigenza di un passo indietro. Ma noi non abbiamo più il tempo per le curve larghe, non l’avevamo più nemmeno sei mesi fa! Bisogna parlare chiaro e forte.
Berlusconi deve togliersi di lì o ci porterà a fondo.
Questa disponibilità non c’è? Questa responsabilità non c’è? Ma allora non ci si dica che si può andare avanti così fino al 2013! Questo sarebbe il disastro. Se non si è disposti a un percorso nuovo, si anticipi l’appuntamento elettorale.
Questa è la nostra posizione. Nessuno ci potrà zittire, la diremo tutti i giorni e la diremo non per interessi di bottega ma per responsabilità nazionale. C’è un problema politico, in questo Paese. Averlo negato ci ha portati sull’orlo del precipizio. Chi lo nega ancora si prende una grande responsabilità.
L’emergenza ci accompagnerà in ogni caso verso un nuovo appuntamento elettorale.
Come immaginarlo? Come possiamo immaginare un grande confronto elettorale? Forse come un passaggio da un Governo all’altro in una situazione normale? No, certamente no. Bisogna immaginarlo come un vero passaggio di fase, come un confronto decisivo sulla ricostruzione del Paese. E’ la ricostruzione del Paese che può darci l’Italia di domani! La prossima legislatura avrà dunque necessariamente un carattere costituente.
C’è forse bisogno di spiegare perché? Non lo si vede chiaro? Non si vede chiaro, ad esempio, che questa notte dove tutte le vacche sono nere, dove si confondono costi delle istituzioni e della democrazia con i costi della politica, dove si mettono assieme i comuni e le province con i vitalizi, il finanziamento dei partiti con i fannulloni della pubblica amministrazione e così via, con il risultato di non cavare mai un ragno dal buco; non si vede chiaro, che tutto questo allude ad un problema: che da vent’anni non c’è una riforma vera, seria, ordinata né dello Stato né delle istituzioni né della Pubblica Amministrazione né della politica? E non si vede chiaro, per fare un altro esempio, che da anni e anni noi cresciamo meno degli altri, diamo lavoro meno degli altri, perdiamo il doppio degli altri nelle crisi e recuperiamo meno della metà degli altri nelle incerte riprese; non si vede che questo vuol dire che ci sono problemi di fondo, riforme di fondo da fare, che c’è una produttività del sistema che non gira, che c’è da rinnovare il patto sociale? E non si vede infine che se la sfiducia verso la politica monta, che se ogni giorno si alimenta il discredito verso l’unico strumento che è nelle mani dei cittadini per darsi un futuro, e cioè la politica, è perché non ci sono passi avanti su un nuovo statuto della politica, della rappresentanza, dei partiti e del loro rapporto con la società? Se stiamo al di sotto di queste esigenze radicali, se non scaviamo più a fondo, non ne usciremo; noi stessi non potremo essere capiti; finiremo nel mucchio e non potremo suscitare nessuna speranza, nessuna fiducia. Il problema è di sistema, e questo problema va guardato in faccia! Uscire dunque dalla fase del berlusconismo, del populismo vuol dire prendere atto fino in fondo della loro colpa più grave, e cioè il blocco di ogni riforma. Quel modello populista è orientato necessariamente ad inseguire il sondaggio del giorno dopo, è orientato a galleggiare, a negare i problemi (come ha fatto con la crisi) o a utilizzare i problemi e riprodurli per il consenso (come ha fatto per l’immigrazione) o a sfruttare i problemi quando sono innegabili per allestire il miracolo che dura un giorno ( come ha fatto per L’Aquila, carissima città a cui mandiamo anche da qui la nostra solidarietà e la conferma del nostro concreto impegno). Se vuoi garantirti il consenso del giorno dopo non sei in grado di cambiare. Se vuoi cambiare devi investire il consenso di oggi e rischiarlo in nome del consenso di domani. Questo è impossibile per il populismo, è possibile solo per un riformismo che viva in una democrazia rappresentativa funzionante! Se è così, ed è così, la ricostruzione è una sfida di riforme. Di alcune riforme da fare sul serio, affrontando con decisione i cambiamenti.
Io non voglio qui fare l’elenco delle nostre proposte. Le rilanceremo nei prossimi mesi nel progetto per l’Italia sul quale da tempo lavoriamo. Voglio riassumere qui il senso di queste proposte.
Innanzitutto noi dobbiamo arrivare ad una democrazia rappresentativa riformata, ad uno Stato più leggero, più autorevole e forte. Questo passa per una riduzione drastica della struttura e dei meccanismi parlamentari, a cominciare dall’immediato dimezzamento del numero dei Parlamentari; passa per un federalismo con i piedi per terra affidato ad autonomie fortemente semplificate e disboscate dalla pletora di società e strutture, per un piano di efficientamento industriale di ogni pubblica amministrazione, per una riforma elettorale vera che, che proponiamo con chiarezza, che può garantire governabilità e ridare lo scettro ai cittadini e che può ricevere uno stimolo utile, un impulso dall’iniziativa referendaria che ospitiamo sulle nostre feste; passa per la difesa e il rilancio del tema dei diritti civili, a cominciare dall'approvazione della legge contro l'omofobia; passa per norme sui conflitti di interesse, per norme antitrust sulla comunicazione, per una riforma della rai tv, per un efficientamento della giustizia per i cittadini, per norme sugli appalti e sui reati finanziari contro le cricche e le mafie.
Riforme concrete, sulle quali stringere l’impegno con gli elettori. E quanto al senso di una ricostruzione economica e sociale: al centro la conoscenza e il lavoro! Proporre un nuovo, grande obiettivo dopo l’Euro: il lavoro per la nuova generazione! Senza abbandonare nessuno dei non più giovani, ma lavorando decisamente sul futuro e scegliendo l’occupazione dei giovani e delle donne come criterio di misurazione di tutte le politiche. Il lavoro dunque, dei dipendenti, degli artigiani, dei commercianti, dei professionisti, degli artisti. Il lavoro che rimette per il verso giusto la scala dei valori di una società; il lavoro che non è solo indispensabile per mangiare o mantenere la famiglia, ma che è la libertà e la dignità di una persona. Attorno a questo tutto il resto: la conoscenza, la scuola, la ricerca, la cultura, innanzitutto e sopra ogni cosa, aumentare i livelli di scolarizzazione non diminuirli! E per aumentarli c’è bisogno di insegnanti, e di insegnanti motivati non insultati! Una riforma fiscale che alleggerisca il lavoro e chi dà lavoro, e carichi su rendite, ricchezze ed evasione uscendo finalmente dalla vergognosa infedeltà fiscale che ci allontana da ogni altra democrazia. Un welfare sul quale non si faccia cassa ma si facciano riforme, in cui l’innalzamento progressivo, flessibile, volontario dell’uscita dal lavoro significhi una rivalutazione delle pensioni dei giovani; in cui far costare meno un’ora di lavoro stabile significhi far costare di più un’ora di lavoro precario; un welfare dove certamente si disboschi il superfluo o l’inessenziale, ma si garantisca l’intervento sui bisogni radicali, perché la sussidiarietà c’è dove c’è lo Stato, non dove lo Stato scompare; e questo vuol dire che sui bisogni fondamentali: salute, istruzione e sicurezza non può essere il mercato che detta il compito, ma è lo Stato che trasforma la solidarietà in diritto, a prescindere dai soldi che uno ha in tasca.
Fuori da lì, un mercato più aperto con regole liberali e non più con far west liberisti o bardature corporative: concorrenza, diritti dei consumatori, nessuna posizione dominante e che ognuno possa fare ciò che sa fare, ciò per cui ha studiato. E nuove chiavi, nuove frontiere per la crescita: ambiente, efficienza energetica, salute, ricerca per nuovi prodotti italiani, tecnologie da mettere nei nostri settori di tradizione, reti d’impresa, crescita di dimensione delle imprese, internazionalizzazione, con la priorità al Sud.
Il Sud oggi abbandonato e umiliato e che è la nostra vera risorsa potenziale, l’opportunità che ci resta per crescere tutti, Nord, Centro e Sud. E un patto sociale nuovo, a partire dall’accordo del 28 giugno sul sistema di contrattazione, sulla rappresentanza e rappresentatività; un accordo pugnalato dal Governo. Da lì, invece, la fioritura di una nuova concertazione che dia flessibilità e convenienza a chi dà lavoro, ma tenga assieme questo Paese e non lo esponga alla frantumazione o a una concorrenza al ribasso, e lo sospinga invece ad una prospettiva di qualità e competitività della nostra struttura produttiva. Dunque, una riforma sociale e liberale: questo è il senso compiuto della
nostra politica economica. Ed infine il senso, nelle cose che proponiamo, di una ricostruzione della politica. Noi su questo abbiamo un’idea, e l’abbiamo da quando siamo nati, da quando ci siamo chiamati Partito Democratico. Siamo i soli che si chiamano Partito. I soli in Italia, ma in buona compagnia, se ci pensate, con tutti i Paesi democratici del mondo. Dico tutti i Paesi. In questa nostra scelta c’è un’idea di politica e di democrazia. Di una politica come partecipazione, come processo collettivo. Di una politica che non è solo comunicazione e neanche solo appuntamento elettorale. Di una politica che non è strumento di una persona sola o di poche persone ma che è occasione di espressione, di presenza e di emancipazione di tanti e di quelli in particolare che da soli non ce la farebbero mai. Un’idea di democrazia, che rifiuta i frutti avvelenati dell’antipolitica, ma che pretende una politica sobria, buona, semplice, pulita, una politica che costi meno e che decida di più. Una politica che rivendica il suo ruolo e che conosce il suo limite. Questo limite non è solo laddove si affacciano profonde convinzioni etiche e religiose, che non ti esimono mai dal dovere della mediazione e della decisione, ma devono avere in ultima analisi il riparo della libertà di coscienza. Il limite della politica è anche laddove comincia la libera espressione, la libera azione di una società civica, di un civismo che vuole esprimersi direttamente e che rivendica giustamente una sua, pur parziale, politicità. Uno dei frutti avvelenati di questi vent’anni è stata la contrapposizione fra società civile e politica fino ad arrivare a volte ad un paradosso, ad un ossimoro: un civismo antipolitico! No, basta, qui c’è da ricostruire. La democrazia dell’Italia di domani deve riconoscere il ruolo dei movimenti, delle organizzazioni sociali e civili e assieme di partiti che sappiano stare all’essenziale del loro ruolo: una funzione di progetto, di unificazione, di garanzia dell’azione di governo.
Una buona politica e un nuovo civismo devono darsi la mano. Non abbiamo sostenuto forse e non sosteniamo, stando sotto il palco e arrotolando le nostre bandiere, il movimento delle donne che ha dato il via ad un risveglio civico nel Paese e che certo non è stato estraneo ad uno straordinario rafforzamento della presenza femminile in tutte le nuove occasioni di mobilitazione e nel grande appuntamento delle elezioni amministrative? E allo stesso modo non abbiamo sostenuto i referendum? E allo stesso modo non abbiamo sostenuto le iniziative di ogni soggetto (Enti Locali, Sindacati, Associazioni e Organizzazioni Sociali) che a loro modo e con la loro autonomia si sono mosse e si muovono per contrastare una manovra ingiusta? In tanti campi i partiti dovranno fare un passo indietro per essere più forti nel loro ruolo proprio. Recuperare essenzialità e venir via da piccoli o grandi privilegi così da poter combattere ogni privilegio. Vitalizi, poltrone di troppo, doppie cariche, servizi immotivati. Via tutto questo, e per questo una sessione parlamentare straordinaria che prenda decisioni, secondo proposte che abbiamo già consegnato alle Camere. E rinsaldare soprattutto un concetto di onestà e trasparenza nella politica. Un impegno ineludibile, che riguarda anche noi. Anzi, prima di tutto noi, perché noi siamo noi; diversi non per cromosomi, ma per scelta politica e civile! Noi che vogliamo mettere nel nostro Pantheon persone che non si sono conosciute ma che noi abbiamo conosciuto; Angelo Vassallo, il Sindaco pescatore; Mino Martinazzoli, politico rigoroso e perbene. Entrambi vogliamo salutare, da qui non solo con un applauso ma con un impegno!
Non c’è stato e mai ci sarà, anche in passaggi difficili o dolorosi, mai ci sarà da noi un diverso peso fra i diritti e le tutele di un politico, di un comune cittadino o di un immigrato! Mai da noi un ostacolo al corretto svolgimento del compito della Magistratura, che è quello di arrivare alla verità! Sempre un passo indietro, pur nella presunzione di innocenza, di un politico investito da indagini rilevanti rispetto a compiti di rappresentanza istituzionale o di partito! E codici interni e regole ancora più stringenti, sui quali stiamo lavorando nella nostra conferenza di Partito. Codici per noi, intanto, ma non solo per noi: per il sistema! Nell’epoca della personalizzazione, ad esempio, le campagne elettorali costano troppo, sia che si parli di finanziamento alla campagna sia che si parli di fund raising. Non va bene. Bisogna mettere dei limiti e dei criteri più stringenti. Non vanno bene i doppi incarichi. Vanno rafforzate nettamente le incompatibilità, i codici antimafia vanno resi esigibili per ogni candidatura e così via. Per tutto questo, ed altro ancora, non solo rafforziamo i nostri codici, ma proponiamo una legge sui partiti, su tutti i partiti. Partiti sì, ma partiti nuovi, totalmente trasparenti nei meccanismi di partecipazione, di finanziamento, di selezione.
E’ con la forza di questa assunzione di responsabilità e di questi comportamenti politici che noi diciamo: attenzione! La critica la accettiamo, l’aggressione no! Chi fa circolare contro di noi teoremi assurdi o leggende metropolitane, chi aggredisce con calunnie l’unico Partito nazionale che fin dalla sua nascita ha un bilancio certificato si prende una denuncia e una richiesta di danni! Non passerà il tentativo di metterci tutti nel mucchio.
Se Berlusconi facesse un passo indietro per ogni inchiesta che lo coinvolge sarebbe ad Ancona!
Care Democratiche, cari Democratici, sia la fase di emergenza, sia quella di ricostruzione vivono e vivranno in un vortice di cambiamenti epocali che hanno pochi precedenti nella storia. In venti anni di globalizzazione la ricchezza del mondo è cresciuta di tre volte, il commercio dei prodotti è cresciuto di venti volte, il rapporto tra finanza ed economia è cresciuto di ottanta volte. Vuol dire che si è in un vortice impetuoso e che cambiano tutte le gerarchie. La freccia del mondo corre velocemente da ovest verso est, da nord verso sud. La stessa stabilità del mondo non può più garantirla nessuno da solo, e il nuovo condominio è ancora tutto da organizzare. Tra pace e guerra, grandi migrazioni, squilibri dell’economia mondiale, rischi ambientali, la strada buona non è ancora trovata. Si sentono solo le scosse telluriche di novità che galoppano.
Miliardi di esseri umani escono dalla miseria ma le immagini di bambini profughi e affamati del Corno d’Africa e i morti senza nome nel fondo del Mediterraneo sono un insulto insanabile alla nostra comune umanità. Gli anni che sono passati dall’attacco alle due torri che commemoriamo domani, lasciano ancora senza risposta chiara l’esigenza, dall’Afghanistan fino al nord Africa, che le armi della politica sostituiscano finalmente la politica delle armi. Mentre lo sguardo del mondo era altrove, si è acceso nel Mediterraneo, nel Medio oriente, nel Golfo qualcosa di inimmaginabile: Mohamed Bouazizi, giovane diplomato col suo carretto di frutta che offriva per vivere, si è bruciato
meno di un anno fa per il sequestro del suo carretto e l’umiliazione per lo schiaffo ricevuto da un poliziotto. Da quel fuoco Mediterraneo e Golfo e l’intero Medio Oriente si sono incendiati e hanno chiesto libertà e dignità. Dittatori hanno gettato la maschera e dove il mondo vedeva, come in Libia, la farsa, ha potuto vedere la tragedia; e dove il mondo leggeva moderazione, come in Siria, il mondo ha visto i cannoni sparare sulla gente. I Palestinesi chiedono giustamente in questi giorni all’ONU di accettarli come stato, ma i negoziati diretti e indispensabili con Israele sono pericolosamente fermi; pericolosamente, per i destini di tutta l’area e del mondo intero. Davanti a questo mondo nuovo in tumulto, noi dobbiamo assolutamente recuperare il profilo dell’Italia che si è perduto. Dobbiamo essere quelli che portano l’Europa a sud, in appoggio politico ed economico alla transizione democratica, nel Mediterraneo e nei Balcani. E giocare lì la grande carta di un ruolo del Mezzogiorno e della sua riscossa. Dobbiamo tornare ad essere quelli che sanno parlare con tutti, senza far ombra a nessuno; quelli che sanno mettere davvero la cooperazione nel cuore della politica estera; quelli che si fanno trovare nei luoghi dove va il mondo, dove sono gli Italiani, che sono in tutto il mondo, e dove sono le merci italiane, che sono in tutto il mondo. La nostra politica estera non può essere la Padania, non possono essere il baciamano e le barzellette di uno che non ha mai messo piede una volta né in India né in Cina. Anche il senso di sé dell’Italia e il senso del suo ruolo in Europa e nel mondo sono da ricostruire. E non sarà cosa da poco, né semplice, né breve. Ecco dunque. E’ a partire da una visione dell’Italia di domani, di un progetto per l’Italia di domani, che noi avanziamo la nostra proposta politica.
Innanzitutto, noi vogliamo un centrosinistra di governo e stiamo lavorando per questo.
Discutiamo con SEL, IDV, Socialisti e formazioni ambientaliste. Vogliamo verificare con loro la possibilità di concordare e rendere chiaro agli italiani un programma di riforme. A noi piace chiamare Nuovo Ulivo questo possibile patto politico e programmatico. Abbiamo ben chiaro che la più recente esperienza di Governo del centro sinistra ha aperto la strada a Berlusconi, per non aver garantito la governabilità ed una coalizione affidabile. Quindi, meccanismi simili all’Unione non li faremo più. Il patto dovrà essere ben solido e avvenire fra soggetti che si rispettano. Non pensi di poter discutere con noi chi prendesse l’abitudine di attaccarci tutti i giorni. Qui non la facciamo a chi grida di più né a chi scavalca l’altro pensando con qualche furbizia di guadagnare uno zero virgola! Queste cose le abbiamo già viste in altri tempi e hanno distrutto la credibilità del centrosinistra. Chi intendesse praticarle ancora, farà da solo.
Qui c’è un Paese da governare. Noi abbiamo messo e mettiamo assoluto rispetto per tutte le forze del centrosinistra. Chiediamo fermamente altrettanto. E chiediamo altresì che dal patto di centrosinistra si muova un largo appello a tutte le forze moderate, che non si ritengono di centrosinistra, ma che intendono fare i conti con il modello plebiscitario e lavorare per una ricostruzione del Paese su solide basi costituzionali. Chi è motivato in questo senso può discutere con noi, in modo aperto, che sia un soggetto politico o che si tratti di movimenti, di organizzazioni, di personalità che vogliano sinceramente muoversi per reagire alla deriva di questi anni. A tutti loro diciamo con chiarezza: chi vuole veramente voltare pagina da Berlusconi e dalla Lega e aprire un cantiere di riforme non può pensare di prescindere dal Partito Democratico. Sarebbe un’illusione. Noi siamo aperti ad ogni possibile convergenza con vera disponibilità, ma siamo consapevoli del nostro ruolo, della nostra forza e delle nostre responsabilità. Il recente e clamoroso esito delle elezioni amministrative credo abbia ben descritto quel che intendo dire: tanto la nostra disponibilità quanto la nostra apertura, tanto la nostra responsabilità quanto la nostra forza. Ed è su questo soprattutto, infatti, che facciamo affidamento per le prospettive dell’Italia di domani: sul Partito Democratico. Nell’ultima esperienza di governo del centrosinistra il Partito Democratico non c’era. Adesso c’è.
Abbiamo fatto tutti assieme, ciascuno con le sue qualità e i suoi limiti, ma tutti assieme, quello che non è mai stato fatto nella storia della politica. Ed è stato un successo. L’ho detto altre volte: siamo troppo giovani per aver risolto tutti i problemi, ma ormai troppo vecchi per esserci sbagliati! Siamo già oggi il primo partito del Paese. Adesso tocca a noi; non da soli, lo sappiamo; ma tocca principalmente a noi! Nelle nostre rappresentanze politiche e istituzionali, nella nostra organizzazione giovanile che saluto qui con un convinto incoraggiamento, sta maturando largamente, diffusamente una nuova generazione. Una nuova generazione che è già in campo, fresca ma non inesperta.
Ne abbiamo avuto una prova anche qui a Pesaro. La fase di ricostruzione del Paese che si aprirà dovrà vedere in campo questa nuova generazione già sperimentata. La nostra ruota girerà e aiuterà il Paese a cambiare. Toccherà a loro, alle donne e agli uomini della nuova generazione che stanno crescendo nel Partito Democratico. A loro chiedo solo due cose. La prima. Di immaginare il loro percorso dentro la logica di un collettivo, di una squadra, dentro la logica della costruzione di uno strumento utile al Paese perché unito; plurale sì, democratico sì ma libero da faziosità e da personalismi. Un collettivo unito per dare un futuro al Paese. E chiedo a loro una seconda cosa. La mia generazione ha giocato la sua vita e la sua stessa prospettiva personale in un grande vento di cambiamento; un mondo nuovo che si affacciava, la certezza che i tempi stavano cambiando. Voi siete cresciuti in tempi più difficili, davanti ad orizzonti più incerti. E’ più difficile per voi che per noi! Io vi chiedo di non disperdere la speranza di cambiamento, la volontà di cambiamento. Di non disperdere l’indignazione per un mondo che non è giusto; di non rinunciare all’idea di cambiare le cose in nome di un’umanità più vera e più piena.
Care Democratiche, Cari Democratici, il nostro compito è quello di riconoscere e accompagnare il disagio profondo, il turbamento del Paese e portarlo ad una fiducia nuova. Il nostro compito è quello di metterci a servizio di un risveglio civico e democratico. Il momento è cruciale. Io chiederò a tutto il Partito nei prossimi mesi un impegno straordinario. Da domani porteremo le nostre idee di riforma “dalle rendite al lavoro”; “uno Stato più leggero e più autorevole”; “una politica sobria”; “in ogni Comune in ogni quartiere”; diamo appuntamento ai cittadini a metà ottobre con assemblee in ogni città. A fine ottobre avvieremo una iniziativa che non ha precedenti nella storia politica del Paese. Duemila giovani del Sud, ragazze e ragazzi già selezionati e provenienti da ogni Comune del Mezzogiorno e dai nostri Circoli, si troveranno a Napoli. Avvieremo lì un anno di formazione politica in rete sui temi della legalità, del lavoro, dell’istruzione, dell’ambiente, della cultura, della pubblica amministrazione.
Vogliamo promuovere su base larga una nuova classe dirigente diffusa sul territorio.
Partiamo dal Sud per estendere poi quell’esperienza a livello nazionale. Un grande progetto di formazione politica per riprodurre il nostro carattere di partito democratico e popolare.
Chiamo inoltre il Partito ad un impegno e ad una mobilitazione che porti ad una manifestazione nazionale il 5 novembre a Roma a sostegno dell’Italia, delle nostre idee per l’Italia e della necessaria svolta politica.
Infine, a compimento del nostro lavoro entro la fine dell’anno una convenzione nazionale per la ricostruzione. Il nostro progetto da discutere con intellettuali, competenze, espressioni sociali e civiche. Il progetto del PD per l’Italia di domani.
In questo percorso impegnativo al quale chiamiamo da qui tutto il Partito metteremo la nostra intelligenza e la nostra forza. Ci metteremo al servizio del Paese, faremo in modo che politica e società tornino a darsi la mano.
Sappiamo che cosa c’è alla radice di questa lunga crisi; c’è il fatto che abbiamo conosciuto uno statalismo senza lo Stato, una partitocrazia senza i partiti e un moralismo senza la morale. La nostra funzione è quella di ricostruire uno Stato, un partito democratico e popolare, una morale pubblica che io chiamo civismo. Solo questa rivoluzione può portare l’Italia fuori dalla crisi. Noi italiani siamo di fronte ad una prova difficilissima. Ma l’Italia è un grande Paese, gli italiani sono un grande popolo.
Riprendiamo il nostro cammino, riprendiamo la fiducia in noi stessi, riprendiamoci il futuro.
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