mercoledì 21 dicembre 2011

La riforma del lavoro serve, ma per ridurre la precarietà ed aumentare la produttività

"La riforma del mercato del lavoro ci vuole ma oggi il problema dell'Italia non è buttar fuori la gente, il problema è come si entra nel mondo del lavoro, come si crea lavoro, come si rende il lavoro meno precario, servono ammortizzatori sociali moderni, perciò bisogna partire da lì e poi fare la sintesi, non discutendo sui giornali. Il governo e le forze sociali si parlino". Questa la posizione del PD, chiarita dal Segretario nazionale Pier Luigi Bersani.
Riguardo la discussione sull'articolo 18, Bersani ha spiegato: "Nel PD la sintesi c'è, è nei documenti approvati in Assemblea, se nel PD si discute, non significa che ci si divida, questa tesi è destituita di fondamento. Il PD quando è ora c'è ed è solido".
La strada maestra è dunque quella del dialogo. “La querelle sull'articolo 18 è un falso problema”, come dice anche il presidente del Consiglio Mario Monti.
“Il PD è unito sul fatto che l'articolo 18 non è l'elemento che non fa crescere l'economia", ha detto il vicesegretario del Partito Democratico, Enrico Letta, intervenendo durante la trasmissione Matrix. "Passiamo il tempo incontrando artigiani, imprenditori, aziende in crisi, in ogni parte del Paese e non abbiamo mai sentito menzionare l'articolo 18 come il problema da risolvere".
Al contrario, Letta ha citato "lo Stato che non paga i debiti, appesantito dall'apparato burocratico e che costa troppo. Sono i grandi licenziamenti collettivi quelli di cui occuparsi in questo momento, guardando ai licenziamenti individuali per affrontarli attraverso un meccanismo di ammortizzatori sociali”.
Altro tema da affrontare, sul quale il PD ha sempre insistito è quello del costo del lavoro: "Il lavoro a tempo indeterminato deve essere quello più vantaggioso, bisogna far pagare di più il lavoro precario, così da renderlo svantaggioso per le imprese".
Secondo una indagine compiuta dalle Camere di commercio sul tema della domanda e dell’offerta di lavoro, emerge che il vero guaio, per le imprese italiane non è tanto quello dei licenziamenti, dell’articolo 18, o della flessibilità in uscita, ma la mancanza di prospettive a breve termine. Luisa Grion, in un articolo sul quotidiano La Repubblica ha riportato quello che dicono le aziende italiane e che emerge con chiarezza se si guarda all`ultimo Rapporto Excelsior Unioncamere. A frenare l`assunzione è la mancanza di nuove commesse (5,7%) o l`incertezza e la domanda in calo (14,1%), quindi nel 20 %dei casi sono le condizioni di mercato a dettare la strategia. Ecco perché non ci si lancia in nuove assunzioni: il reintegro del dipendente licenziato senza giusta causa c`entra poco e niente.
Che non sia l`articolo 18 a determinare la politica del lavoro di una azienda lo conferma anche Mario Sassi, responsabile del Welfare per la Confcommercio. “A bloccare le assunzioni sono il costo del lavoro e la crisi dei consumi - afferma - in assenza di queste due condizioni non ci può essere occupazione”.
Anche il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha sottolineato che va affrontato il problema dei bassi salari. "Speriamo che Fornero decida veramente di rimettervi mano - ha commentato Stefano Fassina, responsabile per l'economia del PD - perchè è vero che i salari non hanno tenuto il passo dell'inflazione. E' vero anche che l'aumento dei salari deve essere di pari passo con la produttività. E' qui che bisogna agire. Non credo che i salari si possano aumentare per decreto, sgombriamo il campo dai falsi problemi come l'articolo 18 e andiamo a toccare quei nodi che possono migliorare la produttività del Paese".


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