sabato 17 marzo 2012

Da Parigi ricomincia il sogno di un’Europa libera, pacifica, giusta.

Intervento di Pier Luigi Bersani, Segretario nazionale del Partito Democratico (Parigi, 17 marzo 2012)

Carissime amiche e amici, carissime compagne e compagni,
credo di poter dire che tutti noi siamo qui oggi con la stessa speranza e con una stessa volontà.
La speranza – caro Francois – è che la tua corsa elettorale si completi tra poche settimane con uno straordinario successo. Se accadrà – e noi tutti crediamo che accadrà – sarà una vittoria per te e per i tuoi elettori. Per i socialisti francesi. E anche per noi.
Perché sarà la conferma che un’altra strada c’è.
E’ una strada aperta e va imboccata senza paure.
Soprattutto sarà la conferma che l’Europa più egoista e cinica sta chiudendo il suo ciclo.
Mi piace pensare che, per una volta, noi italiani abbiamo fatto da apripista. L’ultimo anno si è portato via il governo Berlusconi. Sono convinto che ne siete contenti anche voi.

Ed è accaduto anche grazie a noi, al Partito Democratico. A una opposizione concreta e radicata.
Oggi l’Italia è di nuovo un paese ascoltato. Rispettato.
Questo è certamente merito di Mario Monti e di chi – come noi – lo sostiene con lealtà e con la libertà delle proprie idee. Ma nulla di ciò sarebbe accaduto senza l’uscita di scena di una destra oramai impresentabile.
L’Italia dunque è tornata dove era sempre stata.
In Europa!
E qui intendiamo restare.
Oggi, qui a Parigi, i Progressisti europei mostrano la volontà che li unisce: aprire una nuova stagione della storia e della politica per l’Europa.
Questa oggi è la nostra ambizione.
Quella che ci ha portato qui, per queste due giornate intense e importanti. E io penso (a partire dal documento di base elaborato dalle fondazioni e che il PD sostiene e condivide) che nel rivendicare questo traguardo non dobbiamo avere più timidezze.
Vorrei dirlo con chiarezza: per noi, per le forze democratiche, progressiste e socialiste, questo non è più il tempo dell’attesa.
Questo è il nostro tempo.
I conservatori, in fondo, la loro chance l’hanno avuta.
Loro hanno guidato a lungo le sorti dell’Europa: in Francia e in Germania. In Italia e altrove.
Hanno seminato le loro idee e i loro valori. Ma la raccolta si è rivelata disastrosa.
Perché era sbagliata la ricetta e hanno finito con l’aggravare problemi seri – anche drammatici – che si dovevano affrontare in un altro modo. Con strategie e strumenti diversi.
Per tante ragioni la Grecia è il simbolo della loro sconfitta.
Prima di tutto perché – dopo le bugie di quel governo sui conti di Atene – l’Europa doveva intervenire subito e con un costo limitato.
Loro hanno scelto l’altra strada. Quella più cinica. Piegare un popolo intero – colpirlo nella sua dignità – sino a mettere a rischio l’intero edificio della nostra moneta. Una follia.
E tutto questo nel nome di una politica del tutto inadeguata ad affrontare l’emergenza economica e sociale che investe oggi anche altre nazioni.
Si è continuato a difendere una linea perdente. Coltivando l’idea che tutte le colpe fossero dei singoli paesi, del loro debito e dei loro disavanzi.
Sì, c’è un problema di disciplina dei bilanci, ma non è lì l’origine della crisi; grande parte dei problemi di bilancio è piuttosto una conseguenza della crisi, che nasce da squilibri macroeconomici e sociali, da debolezza della domanda, dalle disastrose distorsioni della finanza.
Chi pensa di uscire dalla crisi difendendo i propri interessi, e lasciando che altri precipitino sempre più a fondo, fa un calcolo miope. Un calcolo che rende l’Europa, tutta intera, più debole ed esposta alla recessione e alle scorribande speculative.
I Progressisti europei alzino dunque la voce e dicano che gli squilibri di oggi sono l’esito di un impianto istituzionale europeo troppo debole, di scelte di politica economica radicalmente sbagliate, di una resa agli interessi della finanza, di una austerità cieca.
I danni sono sotto i nostri occhi.
Abbiamo idee alternative, proposte alternative. Il documento ne è la prova.
E io desidero ringraziare la Feps, le diverse Fondazioni e tutte le personalità che hanno contribuito al risultato.
Cari amici e compagni, arriviamo a questo appuntamento forti della storia e della identità di ciascuno.
Storie e identità, che non sono mai nemiche del coraggio e dell’innovazione.
Noi – Democratici Italiani – in questi anni abbiamo innovato molto.
Abbiamo scelto di superare le antiche appartenenze e di dare vita a un Partito Democratico che già adesso – a quattro anni dalla sua nascita – è il primo partito italiano.
Oggi questo nuovo partito è in campo, in Italia e in Europa.
Con orgoglio.
Con passione.
Con la forza che ci viene dall’avere unito gli affluenti migliori di una lunga tradizione: dalle diverse identità della sinistra, socialista e liberale, al cattolicesimo sociale, all’ambientalismo e al pensiero femminile.
Abbiamo collegato queste tradizioni alle nuove istanze più sensibili sul piano dei diritti, delle libertà, della cittadinanza. Ai movimenti giovanili che riscoprono, nel pieno della crisi, il valore dei grandi beni pubblici e quel senso della “comunità” – di una “fraternità” – che emerge proprio nelle difficoltà più acute della vita. Perché nessuno può salvarsi da solo, nessuno può star bene davvero se anche gli altri non stanno bene. Né gli individui, né i territori, né le nazioni. Questo è il nostro ideale. Questa è la nostra convinzione.
Quell’aggettivo – Democratico – lo abbiamo scelto perché sulla democrazia – sulla qualità della democrazia – si decide oggi il nostro destino comune.
Non solo dell’Italia o di qualsiasi altra nazione, ma di quell’Europa che, mai come ora, è l’orizzonte del nostro avvenire, e che non potrà esistere davvero senza rafforzare il processo democratico, senza diventare l’Europa dei cittadini europei.
Cari amici e compagni, qui, davanti alla sfida di Francois e vostra, noi tutti Progressisti europei, ci stringiamo fraternamente la mano. Lavoriamo assieme non da oggi: a Strasburgo, a Bruxelles, nello stesso Gruppo. Nello stesso campo, per gli stessi traguardi.
Adesso ci diamo un traguardo nuovo: costruire – mattone su mattone – una piattaforma progressista di governo. La sola strada, cioè, per contrapporre a un rigorismo senz’anima un’idea più avanzata di libertà e di giustizia, di solidarietà verso chi sta peggio; un disegno capace di rilanciare la crescita e la coesione delle nostre società.
Adesso ci diamo un traguardo nuovo: rilanciare il grande sogno europeo.
La destra ha cavalcato una crisi del sentimento europeista; ha vinto ovunque sul ripiegamento difensivo ed egoistico di individui, di ceti sociali, di territori, di nazioni rompendo un’idea di solidarietà e di destino comune. Ha vinto incoraggiando le paure, quasi che il dramma della disoccupazione o la mancanza di un reddito sicuro possano risolversi abbattendo un nemico, reale o più spesso immaginario. Ieri gli immigrati, domani magari i loro figli, nati e cresciuti nelle nostre città.
Ha vinto la destra, togliendo l’Europa dal mondo e lasciandola muta e inerte davanti alle straordinarie primavere o ai drammi sanguinosi che avvengono attorno al Mediterraneo. Ma adesso abbiamo chiaro quello che forse non ci era chiaro dieci, quindici anni fa. Nella paura, nel ripiegamento vince la destra! Nel rilancio di una visione europea e di una solidarietà comune vincono i Progressisti!
Per questo a noi non basta l’Europa, certamente preziosa, delle regole e della “tecnica”.
Ci serve un’Europa politica che si mostri in grado di accogliere e di includere. Di esercitare di nuovo la sua funzione e il suo potere sulla scena del mondo. Questo è il senso profondo del documento che discutiamo qui.
Noi oggi abbiamo il dovere di rilanciare l’integrazione politica europea dando di nuovo voce ai suoi principi fondativi, a partire dal valore della libertà e della dignità di ogni essere umano.
Alla fine – cari amici e compagni – tutti noi saremo giudicati per questo.
Per come avremo saputo gestire l’eredità dei nostri padri: l’idea in sé rivoluzionaria di un’Europa libera, pacifica. L’idea di una terra giusta, dove la vita vale non per ciò che si ha, che si possiede, ma per ciò che si è, per il valore irriducibile di ogni persona. E saremo giudicati per come avremo reso utile questa nostra civiltà ad un mondo che cambia.
Questo conterà.
Non solo ciò che avremo fatto, ciascuno nel proprio paese. Ma ciò che faremo assieme, e che lasceremo in eredità a chi verrà dopo di noi.
Cari amici, cari compagni, abbiamo davanti un anno o poco più, che dirà molto su tutto questo, in Francia, in Italia, in Germania e quindi in Europa e nel mondo.
Adesso il primo passo – caro Francois – tocca a voi.
Sarà un passo nuovo nella direzione giusta. Ne sono certo. Il cammino di noi tutti ne risulterà facilitato.
Noi abbiamo speranza, noi abbiamo fiducia.
La fiducia di una svolta vicina.
Vogliamo vincere, dobbiamo vincere, tutti assieme.

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