sabato 21 luglio 2012

Spread e Borse: ecco perché sale la febbre da default

di Emilio Barucci (economista) 

Ciò che è successo ieri può sembrare inspiegabile. Nel giorno in cui l’Eurogruppo stabilisce il via libera agli aiuti alle banche spagnole, gli spread dei titoli di Stato italiani e di quelli spagnoli sono schizzati verso l’alto.
Di fatto ieri abbiamo fatto due passi in avanti: il materializzarsi degli aiuti alle banche spagnole che dovrebbe alleviare il Paese sul fronte del rifinanziamento del debito; un avanzamento nella costruzione del fondo anti spread laddove si stabilisce che i fondi stanziati potranno essere utilizzati previo accordo a livello europeo - anche per l’acquisto di titoli di Stato di nuova emissione. La risposta del mercato è stata negativa.
La sensazione è di assistere alla proiezione di un film drammatico con un finale ancora da scrivere ma sicuramente catastrofico: fine dell’euro, commissariamento degli Stati nazionali, forte impoverimento, instabilità politica e sociale. Il menu appare ricco, c’è solo da capire dove si poserà la pallina in questa folle corsa. La reazione dei mercati è in realtà più comprensibile di quello che può apparire.

I mercati temono sostanzialmente due cose. In primo luogo che le misure messe in campo a livello europeo non rappresentino una diga insormontabile: i fondi non sarebbero sufficienti per bloccare gli attacchi, i meccanismi di intervento sono complicati e fortemente condizionati dalle decisioni dei leader politici europei che non hanno dato prova di agire all’unisono. I mercati per essere convinti hanno bisogno di una diga insormontabile che agisca senza esitazione. Fino ad oggi, questo messaggio non è stato recapitato.
Questo genera una spirale speculativa fondata sul fatto che tutti gli operatori prendono posizione contro gli Stati deboli nella convinzione che andranno in default.
Il secondo elemento di instabilità è rappresentato dalle ripercussioni delle manovre messe in atto: i mercati non sono particolarmente preoccupati per un’eventuale depressione, temono di più l’instabilità politica che potrebbe portare a mutamenti di politica economica che finirebbero per accelerare il corso degli eventi. Con ogni probabilità i mercati sarebbero meno nervosi se i Paesi periferici fossero commissariati secondo i canoni dell’austerità più ortodossa.
Cosa possiamo fare per parte nostra? Ben poco. La partita si gioca in Europa. Questo dovrebbe indurre un maggiore senso di responsabilità soprattutto verso il governo. È del tutto legittimo che le forze politiche si battano per modificare le manovre messe in campo dal governo. Del resto le sue misure sono state rese più equilibrate grazie proprio all’azione del Parlamento, ma la battaglia politica non può trasformarsi in un dibattito surreale sul continuismo (a sinistra) o in un gioco al tanto peggio tanto meglio (soprattutto a destra ma anche a sinistra).
Questo atteggiamento non riconosce la gravità della situazione e rischia di innescare dinamiche pericolose difficili da controllare. Anche la critica da sinistra all’austerità del governo dovrebbe essere ricondotta a maggior concretezza. Non c’è dubbio che l’austerità imposta dall’Europa sia una medicina inappropriata, ma dati i vincoli europei il margine d’azione del governo appare davvero ristretto.
La battaglia per un cambiamento a livello europeo deve essere combattuta ma questa deve essere condotta da Monti e non dalle forze politiche con schermaglie tutte nazionali. Del resto, Monti ha cercato in tutti i modi di percorrere questa strada in sede europea. Non si può un giorno dire che Monti fa asse con Hollande e il giorno dopo metterlo all’indice per le politiche che è costretto a fare.
La strada è stretta, una maggiore capacità di proposta da parte delle forze politiche e un confronto leale con il governo senza strumentalizzazioni sicuramente aiuterebbe. Occorre prendere atto che se non cambia qualcosa in Europa, qualunque sia il governo che uscirà dalle urne, le ricette per il futuro non saranno molto diverse da quelle di Monti.

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