martedì 10 giugno 2014

"Quando c'era Berlinguer": l'11 giugno il film su Sky

Enrico Berlinguer
A 30 anni dalla morte del leader del PCI, la pellicola di Veltroni.

Qualche lacrima scappa solo alla fine. Vedere per credere. "Quando c’era Berlinguer", il film-documentario di Walter Veltroni (uscito il 27 marzo, soltanto per un giorno, nei cinema italiani) mercoledì 11 giugno, nel trentesimo anniversario della morte del leader del Partito Comunista Italiano, sarà trasmesso in prima serata, alle 21.10, su Sky.
Il film non punta le sue carte sull’emotività. È, anzi, una puntigliosa ricostruzione che in 117 minuti racconta la vicenda umana e politica di un grande uomo politico e della sua idea di cambiare l’Italia rimanendo alla testa di un partito che era e voleva restare comunista, anche se lo era “diversamente” (molto diversamente) dal PCUS.

Le eresie di Enrico
Eppure bisogna muoversi, inventare, sottrarsi al giogo dell’Impero sovietico e dell'immobilismo del sistema italiano che fa perno sulla Dc. Il segretario non si contenta di gestire gli staordinari risultati degli anni d’oro del Pci che - dal 1974 al 1976 - vince il referendum sul divorzio e consultazioni elettorali a raffica.
Berlinguer comincia con le sue eresie, va a Mosca e - davanti a una paludatissima platea di comunisti sovietici che lo applaude freddamente soltanto per 7 secondi - rivendica nel 60° anniversario della rivoluzione d’ottobre “il valore universale della democrazia”.
Poi in tv diventa ancora più eretico e dichiara di sentirsi più sicuro “al riparo dell’ombrello della Nato”.

L’attentato in Bulgaria
Non è un caso, quindi, se Veltroni mostra improvvisamente l’immagine di una potente automobile su cui viaggiava Enrico distrutta in Bulgaria, dove aveva avuto un duro scontro con i capi bulgari, veri e propri ultrà filosovietici che difendevano a spada tratta l’invasione della Cecoslovacchia di Dubcek.
La macchina, investita da un camion militare, è casualmente (?) sfasciata. L’autista muore, l'interprete è ferito gravemente. Berlinguer, tornato miracolosamente illeso in Italia, dice alla moglie che non andrà mai più a Sofia. E mantiene la promessa.

I testimoni autorevoli
Il regista utilizza diversi testimoni autorevoli per documentare quegli anni. C’è prima di tutto Giorgio Napolitano (forse c’è troppo, anche perché Walter non spiega che l’attuale presidente della Repubblica era all'epoca nel Pci il vero avversario della linea di Berlinguer).
Ma ci sono anche Eugenio Scalfari, il fondatore delle Br Alberto Franceschini, Lorenzo Jovanotti, Emanuele Macaluso, un’efficace Bianca Berlinguer, Aldo Tortorella che era l’acuta mente dell’anima della sinistra berlingueriana (anche questo non viene detto con chiarezza) e diversi altri protagonisti di un tempo che sembra non avere nulla a che fare con i giorni nostri.

Rapiscono Moro e fallisce il compromesso
Dopo il golpe cileno e la caduta di Allende, Berlinguer propone alla Dc il compromesso storico. Dentro questa scelta nasce il governo di unità nazionale presieduto da Andreotti, che è un monocolore Dc, che il corpo del Pci mal digerisce.
Ma Claudio Signorile, dirigente socialista molto addentro alle segrete cose, dichiara a Veltroni che, entro pochi mesi, anche i comunisti sarebbero entrati organicamente nell’esecutivo.
Ma non c’è il tempo per questo. Le Br rapiscono e uccidono - tempestivamente -  Aldo Moro, il vero interlocutore del Pci. Con la sua morte finisce, di fatto, la politica del compromesso.

Berlinguer fischiato dai socialisti
Berlinguer sa bene che, lasciando il cadavere del presidente della Dc nel bagagliaio della Renault rossa parcheggiata in via Caetani, a due stradine di distanza dalle Botteghe Oscure, hanno colpito al cuore anche lui.
Cambia politica, sposta il partito a sinistra, propone l’alleanza ai socialisti di Craxi.
Ma riceve solo i fischi al congresso del Psi dove, rompendo con una vecchia tradizione di ospitalità, lo stesso Bettino dice ai microfoni di condividere i fischi “non contro l’uomo, ma contro la sua politica”.

Una corsa verso la fine di Padova
Veltroni non è reticente, invece, sugli ultimi mesi della vita di Berlinguer. Finito il compromesso storico, fallita l’idea dell’alternativa, si lancia nella campagna elettorale per le europee del 1984 con la Direzione che lo ha messo praticamente in minoranza. La seduta - spiega Tortorella - viene aggiornata a dopo i risultati elettorali, altrimenti il segretario finirebbe sotto.
Enrico, negli ultimi giorni, corre da Genova a Padova, dove lo aspetta il palco dell’ultimo comizio. Sta male già prima di farlo, ma vuole chiudere la campagna elettorale. Incespica sulle parole finali, ma pretende di finire il suo appello ad "andare casa per casa" per non perdere neanche un voto. Alla fine lo portano in albergo.
Si addormenta, secondo il suo capo-scorta. Ma il dottore gli spiega che è in coma.

Decine di migliaia a San Giovanni
Decine di migliaia a Roma, a piazza San Giovanni, per i funerali. Era un giugno caldissimo. Ci si copriva la testa coi giornali, soprattutto con quelli dell’edizione straordinaria dell’Unità, in cui campeggiava la bellissima foto di Enrico al mare a Stintino, in giacca di incerata bianca e un ADDIO grande grande stampato in rosso.

Un film generazionale
In verità questo è un film-documentario assolutamente generazionale. Chi ha meno di 40 anni, se non ha una particolare passione per la politica, farà fatica a capirlo, visto che quando Berlinguer è morto aveva meno di dieci anni. E il documentario non l'aiuta a calarsi nei fatti più di tanto.
Chi, invece, quegli anni li ha vissuti con passione si chiede ancora come sarebbe stata l’Italia se la prospettiva di Enrico avesse avuto la meglio.
Come scrive Natalia Ginzburg nella frase che chiude il film: “Ognuno ha avuto con Berlinguer un suo rapporto personale anche se l’ha visto una volta sola nella vita”. Proprio così.

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