sabato 31 gennaio 2015

Jobs Act: inviati in Parlamento i primi due decreti delegati

di Alberto Pagani (Deputato PD)

All'esame delle commissioni Lavoro di Camera e Senato i provvedimenti che normano il nuovo contratto a tempo indeterminato e la nuova assicurazione sociale sull'impiego (Naspi)
Alla fine del 2014 il Governo ha varato i primi due decreti (in tutto saranno cinque) del Jobs Act, ovvero la riforma del mercato del lavoro approvata alla Camera, sotto forma di legge delega, il 25 novembre scorso. La scorsa settimana i due provvedimenti sul nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e sui nuovi ammortizzatori sociali sono arrivati alle Commissioni competenti di Montecitorio e di Palazzo Madama, tenute a esprimere pareri sui testi dell'Esecutivo. Ovvero a eccepire o meno sul fatto che, nella stesura delle norme, siano stati rispettati i vincoli e i criteri della Delega con cui il Parlamento ha affidato a Renzi e ai Ministri la scrittura della legge.  
Di seguito i contenuti fondamentali di entrambi...
Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti potrà essere usato dalle imprese dopo che il testo che lo introduce sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Poiché le Camere hanno al massimo 30 giorni per emettere i pareri, si può presumere che questo avverrà al massimo nella seconda metà di febbraio. Quando la misura avrà forza di legge, chi sarà assunto a tempo indeterminato vedrà mitigata la portata dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori in alcuni casi di licenziamento individuale. Mentre su tutti gli altri fronti (ferie, malattia e contributi), si tratta di un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti. Come già scrivevo a fine novembre, il diritto al reintegro resta tale e quale per i casi discriminatori, mentre sparisce per i licenziamenti di tipo economico (legati all'andamento dell'azienda) e viene mantenuto per alcune fattispecie di licenziamenti disciplinari. Nelle ipotesi di licenziamento disciplinare, laddove non sussista il fatto materiale contestato al lavoratore, questi può chiedere la reintegra dimostrando di non aver commesso ciò che gli viene attribuito. Il giudice, dimostrata l'insussistenza del fatto contestato, può annullare il licenziamento e predisporre la corresponsione – da parte del datore di lavoro – di un'indennità risarcitoria oltre al versamento dei contributi previdenziali dovuti dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettivo rientro. Per i licenziamenti discriminatori – ovvero effettuati contro la persona, la sua fede politica, religiosa, il suo genere – il lavoratore stesso entro 30 giorni dalla notifica di licenziamento può decidere di non essere reintegrato nel posto di lavoro – qualora non lo ritenga opportuno – ma di ricevere un'indennità pari a 15 mensilità. Nel caso di licenziamento economico o disciplinare in cui il fatto sussista, quindi non si possa procedere alla reintegra, il datore di lavoro è tenuto a versare un'indennità crescente in proporzione alla durata del rapporto di lavoro che si va a concludere: l'indennità non può essere inferiore a 4 mensilità dell'ultimo stipendio né superiore alle 24 mensilità.
La commissione Lavoro della Camera, presieduta da Cesare Damiano, vorrebbe portare a 6 i mesi di mensilità minima da corrispondere al lavoratore. Inoltre, sempre la stessa Commissione, sottolinea che il decreto deve tipizzare maggiormente quali licenziamenti disciplinari possano essere considerati illegittimi: al momento, appunto, si parla genericamente di “fatto materiale”. La legge dovrebbe invece prevedere più puntualmente il significato del termine “fatto”, partendo – come giustamente sostiene Damiano – dalle tipizzazioni già contenute nei contratti nazionali di lavoro. Se non si tenesse conto dei contratti nazionali, infatti, si creerebbero ancor più ambiguità poiché sarebbe difficile, quindi meno certo e passibile di maggior ricorso ai tribunali (che è l'opposto di quanto si vorrebbe), stabilire quali licenziamenti sono illegittimi. Al contrario, però, la commissione Lavoro del Senato (presieduta da Maurizio Sacconi, del Nuovo Centrodestra) sta cercando di sostituire il diritto al reintegro di natura disciplinare con l'idea di un “superindennizzo”. Come si vede i due organi competenti vanno in direzioni diverse. Quel che mi preme dire è che, a oggi, le differenze poste in essere dal decreto rispetto alla legge Fornero (che già aveva rivisto l'articolo 18) sono poche. La disciplina dei licenziamenti non cambierà sensibilmente. Per cui auspico che la sollecitazione proveniente da Palazzo Madama non sia presa in considerazione dal Governo. Mi preme poi ricordare che resta ferma, come accade oggi, la possibilità che datore di lavoro e lavoratore pervengano a una conciliazione senza far ricorso ai tribunali: la conciliazione attualmente è lo strumento usato nella maggioranza dei licenziamenti.
Le nuove norme valgono solo per le imprese sopra i 15 dipendenti, poiché sotto quella soglia già oggi non è applicabile l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Nel decreto c'è però una novità rispetto alle aziende che il 31 dicembre 2014 non superavano i 15 dipendenti: qualora, una volta entrata in vigore la legge, queste aziende si ampliassero superando le 15 unità, le nuove regole per i neoassunti varrebbero anche per i dipendenti a tempo indeterminato precedenti. Ovvero se una piccola impresa assume nel 2015, per tutti i lavoratori ante o post decreto vale il nuovo contratto a tempo indeterminato: il legislatore, con ciò, cerca ulteriormente di incentivare la ripresa dell'occupazione.  
Con la decontribuzione per 3 anni prevista in Finanziaria, gli sgravi Irap sempre contemplati nella legge di Stabilità e la possibilità di avere un po' più di flessibilità in uscita sono stati dati molti segnali alle imprese: ora sta alle aziende credere nella possibilità di una ripresa, che difficilmente può avvenire senza un incremento dei redditi, dei consumi e dell'occupazione.

Il secondo decreto legislativo ridisegna invece il capitolo degli ammortizzatori sociali e introduce la Nuova assicurazione sociale sull'impiego, chiamata Naspi, che partirà a maggio. Questa è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perso involontariamente la propria occupazione e abbiano almeno 13 settimane di contribuzione versate nei 4 anni precedenti il periodo di disoccupazione e 30 giornate di lavoro effettivo nell'anno precedente. Oggi i requisiti sono diversi e i beneficiari sono molti meno: con la riforma Fornero, infatti, per ricevere gli ammortizzatori sociali bisogna avere 1 anno di contribuzione pieno nel biennio precedente. La platea che potrà usufruire della Naspi è quindi più ampia e il nuovo strumento più tutelante. L'ammontare della Naspi è rapportato alla retribuzione degli ultimi 4 anni. Il sussidio, in caso di reddito mensile da lavoro inferiore o uguale a 1195 euro, assegna un'indennità pari al 75% dello stipendio; nei casi di reddito mensile superiore, la Naspi può arrivare al tetto massimo di 1300 euro (oggi è di massimo 1.152 euro). La durata dell'erogazione del sussidio corrisponde alla metà del numero di settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni. La durata massima non può superare i due anni, quasi il doppio di quanto oggi previsto (ora è di massimo 16 mesi per i lavoratori sopra i 55 anni ma di massimo 12 per i lavoratori sotto i 55), ma questo solo fino al 2017. Dal 2017 la durata massima in cui si potrà beneficiare dell'ammortizzatore sarà di 18 mesi. Dopo 4 mesi, la Naspi viene decurtata del 3%. L'erogazione della Naspi è condizionata alla regolare partecipazione del lavoratore a corsi o iniziative di riqualificazione professionale proposti dai servizi per l'impiego competenti, pena la decadenza. E questo, a mio avviso, è un giusto orientamento che rende “attiva” la ricerca del lavoro e l'aiuto monetario, non lasciando sole le persone che hanno perduto un impiego ma incentivandole e accompagnandole a creare nuove competenze appetibili per le aziende sui territori di riferimento.
Come incentivo all'autoimprenditorialità, il legislatore contempla la possibilità che il lavoratore disoccupato o che perde il posto possa chiedere in un unico versamento l'importo complessivo della Naspi che gli spetta. In questo caso, la corresponsione anticipata del totale degli ammortizzatori deve però essere usata per avviare un'attività di lavoro autonomo o una cooperativa. La Naspi è poi cumulabile con un rapporto di lavoro subordinato temporaneo il cui reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso dall'imposizione fiscale. Se un lavoratore trova un impiego temporaneo con un livello di stipendio oltre il reddito minimo di cui sopra, potrà sospendere la Naspi per il periodo di lavoro se inferiore ai sei mesi, per poi riprenderla in seguito.
Il decreto delegato istituisce poi l'Assegno di disoccupazione (Asdi) per quei lavoratori che hanno già usufruito per intero degli ammortizzatori sociali ma non abbiano trovato lavoro e necessitino di un sostegno al reddito, trovandosi in una condizione di bisogno. L'assegno di disoccupazione è erogato per sei mesi ed è pari al 75% dell'ultima indennità, ma l'ammontare può essere incrementato per gli eventuali carichi famigliari del lavoratore (i parametri verranno definiti da un regolamento del ministero del Lavoro). Anche in questo caso il sostegno economico è condizionato all'adesione a un progetto personalizzato predisposto dai servizi per l'impiego. Misura innovativa è il sussidio di disoccupazione previsto per i collaboratori iscritti alla gestione separata Inps, ovvero per i collaboratori a progetto. In attesa della probabile abolizione di questi contratti, considerati troppo precarizzanti e su cui il Governo metterà mano in uno dei prossimi decreti delegati, viene previsto però un sostegno per i collaboratori che perdono il lavoro e abbiano versato almeno 3 mesi di contributi dal 1° gennaio dell'anno antecedente il periodo di cessazione. L'ammontare del sussidio segue le stesse regole del lavoro dipendente, ma la durata è di massimo 6 mesi. In virtù di questo ridisegno complessivo degli ammortizzatori sociali, più tutelanti e con più potenziali beneficiari, viene decurtata sul 2015 la Cassa integrazione in deroga, per poi andare a esaurimento. I maggiori oneri, rispetto agli attuali ammortizzatori sociali vigenti, sono comunque di circa 870 milioni di euro nel 2015, per poi salire a 1,7 miliardi negli anni successivi. La Ragioneria di Stato ha calcolato che la platea dei possibili beneficiari della Naspi è di oltre 1 milione e mezzo di lavoratori, contro il milione e 300mila degli ammortizzatori attuali.

Questi sono i contenuti dei testi, questi sono i dati. Ritengo, a titolo personale, che il secondo decreto sia un buono strumento per dare più garanzie. Quanto al primo, che ha recepito in ottima parte le perplessità della minoranza PD, non mi pare si tratti di una rivoluzione (né in meglio né in peggio) rispetto alle attuali regole. Vedremo come risponderanno le aziende. Credo comunque che le scelte fatte con la legge di Stabilità (sollevare le imprese dal pagamento dei contributi per 3 anni nei confronti dei nuovi assunti e tagliare l'Irap) siano molto più allettanti ed efficaci per creare lavoro. In ogni caso, il Ministero competente dovrà monitorare gli effetti del nuovo contratto a tempo indeterminato sul mercato una volta che sarà entrato in vigore.

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