lunedì 20 luglio 2015

Jobs Act: liberare il lavoro, proteggere il lavoratore


Estratto del discorso del Responsabile Economia e Lavoro del PD, Filippo Taddei

La nostra riforma del lavoro punta a favorire la più grande trasformazione del sistema produttivo italiano. Un’economia avanzata come la nostra si guadagna ogni giorno il proprio posto non certo attraverso i bassi salari, ma scommettendo sulle capacità dei suoi lavoratori.

Usciamo dalla più lunga recessione che il nostro paese, o una qualunque economia occidentale, abbia mai vissuto – 13 trimestri consecutivi di crescita negative. E’ una recessione che ha riportato il reddito medio in termini reali allo stesso livello del 2000 e rimandato a casa senza lavoro più di un milione di italiani, L’Italia ha vissuto la più grande contrazione del volume degli investimenti che sia mai avvenuta. Se nel 2011 investivamo oltre il 21% del PIL, oggi investiamo poco più del 16%: stavamo perdendo circa 80 miliardi di investimenti all’anno.
Il crollo degli investimenti ha un fratello gemello che è il fallimento del lavoro stabile. Questo significa il tracollo dell’intelligenza al lavoro, delle competenze e professionalità, che rimangono la principale tutela che possiamo offrire ai nostri lavoratori.
Dobbiamo chiederci come possiamo tornare a sostenere chi vuole costruire un futuro nel nostro paese e non altrove. Abbiamo costruito un modello di cambiamento non incentrato sul lavoratore e le sue competenze, ma su principi statici di tutela, solamente affermati e derogati nella pratica della flessibilità precaria. Al contrario,  crescono sulle gambe delle intelligenze dei propri lavoratori. Siamo un’economia avanzata e dobbiamo ricordarci come si fa a rimanerlo.

L’Italia è un paese in cui i precari, i disoccupati, quelli che entrano nel mercato del lavoro, sono troppo deboli, e su loro è stato scaricato il maggiore peso della crisi. La disoccupazione giovanile è passata dal 20 a più del 43%, e le speranze per un giovane di essere assunti a tempo indeterminato erano diventate pressoché nulle. Inoltre, i lavoratori a tempo determinato sono anche quelli che hanno il 50% in meno di probabilità di ricevere una formazione sul lavoro. D’altra parte, l’Italia è il paese con la più piccola percentuale di lavoratori che partecipa ad un percorso formativo. Questa percentuale in Italia è solo il 5%, uniforma fra occupati e disoccupati: 1 su 20. In Francia e Germania arriviamo ad 1 su 6, 1 su 7. Come possiamo mantenere il nostro posto di economia avanzata nel mondo in questo modo?

Con questa riforma del mercato del lavoro, rimettiamo al centro il lavoro stabile, ripristiniamo la centralità delle competenze. Con il contratto a tutele crescenti, dal primo giorno in cui il lavoratore è in azienda, quel lavoratore è soggetto a tutte le condizioni contrattuali e retributive di tutti gli altri lavoratori di quella stessa menzione. E’ un cambiamento radicale: il lavoratore non viene più assunto attraverso una forma contrattuale che permetteva, nella prassi, di derogare le condizioni di quel posto di lavoro a ciò che le parti sociali negoziavano.

Bisogna sostenere il lavoratore quando è occupato dandogli la possibilità di formarsi e di lavorare in sicurezza. Bisogna però sostenerlo anche quando perde il posto di lavoro,  attraverso un assegno di disoccupazione. Per questo introduciamo un sussidio universale di disoccupazione, la NASPI, che è il più inclusivo d’Europa, insieme al sostegno extra del DIS-Coll per i collaboratori e dell’ASDI per i lavoratori più svantaggiati. Sopratutto, inauguriamo le politiche attive per fare in modo che un lavoratore possa riutilizzare le sue competenze, rinnovarle, cambiarle.

Il paradigma che lasciamo è quello in cui la tutela del lavoratore è incentrata sulla tutela del posto di lavoro, mentre la flessibilità del sistema economico è garantita dalla diffusione delle deroghe contrattuali precarie di forme di lavoro precarie.

Il paradigma che introduciamo è quello per cui la tutela del lavoratore si sposta dal posto di lavoro alla vita del lavoratore in tutte le sue fasi, e la flessibilità di cui il sistema economico necessita è quella dell’organizzazione aziendale.

La nuova Italia ha due modi per acquisire il proprio posto nel mondo:
Uno è quello di usare le proprie difficoltà e i propri drammi per trasformare il sistema produttivo attraverso ulteriori sacrifici dei lavoratori. E’ quello che abbiamo sempre fatto in passato, anche in quello più recente, quando ci siamo disinteressati della dualità del nostro mercato del lavoro e abbiamo offerto al sistema economico una flessibilità senza tutele per i lavoratori e senza incentivi per i datori di lavoro. Non dobbiamo guardare molto lontano, basta guardare la Spagna o la Grecia, per vedere i paesi in cui questa prospettiva è stata applicata.

Eppure non c’è nulla di più distante dal Partito Democratico: invece che competere sui bassi salari, la nostra politica economica vuole scommettere sulle competenze, sul saper fare. Mantenere il nostro posto nel mondo investendo sulle intelligenze al lavoro è una scelta che ha funzionato nel nostro passato: non dobbiamo dimenticarlo quando progettiamo il nostro futuro.

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