mercoledì 23 settembre 2015

PD, ecco l’intesa sull'elezione del Senato

Sono tre le modifiche concordate dai Democratici al testo della riforma costituzionale: ecco i testi presentati. Pressing del governo sulla minoranza: ora ritirate gli altri emendamenti

Il termine per la presentazione degli emendamenti è ufficialmente chiuso. Il PD è riuscito a trovare la quadra in extremis su quasi tutti i nodi aperti e ha presentato tre emendamenti condivisi da tutto il partito e sottoscritti anche dai capigruppo di maggioranza. Le modifiche concordate riguardano la questione della partecipazione degli elettori alla scelta dei prossimi senatori (il tema più dibattuto), l’elezione dei giudici della Corte costituzionale e il reintegro di alcune funzioni sottratte al Senato durante l’esame del testo a Montecitorio. Una mediazione “degna” per Vannino Chiti. Secondo il senatore della minoranza, gli emendamenti concordati “esprimono una ritrovata unità nel partito e consentono un impegno unitario sui temi delle riforme e dell’azione di governo”.
In particolare, per quanto riguarda l’articolo 2, l’emendamento condiviso prevede che la scelta dei senatori da parte dei consigli regionali avvenga “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge”. L’applicazione di questo comma sarà dunque progressiva, tanto che solo nel 2023 tutti i senatori saranno scelti anche dagli elettori.
Per quanto riguarda invece le funzioni del nuovo Senato, l’emendamento del PD introduce nell’articolo 1 della riforma “funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica” e, inoltre, “valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato”.
Infine, sulla composizione della Corte costituzionale: “La Corte costituzionale è composta da quindici giudici, dei quali un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica”. La novità riguarda proprio questi ultimi due membri che saranno eletti dall’aula di palazzo Madama.
Non è stato raggiunto invece un punto condiviso su altre due questioni, ossia le materie concorrenti tra Stato e regioni (il Titolo V della Costituzione) e il quorum per l’elezione del presidente della Repubblica. Su questi due punti il confronto interno al partito proseguirà anche dopo la presentazione degli emendamenti: il governo, infatti, ha ancora qualche giorno di margine per presentare eventuali proprie proposte di modifica.
Ora, però, sia il ministro Boschi che il sottosegretario Pizzetti chiedono alla minoranza di ritirare i suoi 17 emendamenti, come segno di distensione. Per il momento, la richiesta è stata accolta solo per quanto riguarda quelli relativi al comma 5 dell’articolo 2.
Anche perché c’è già chi ha dato il meglio di sé: il leghista Roberto Calderoli ha presentato 82.730.460 emendamenti, contenuti in un dvd. Uno show che rischia di far slittare a lungo l’avvio delle votazioni in aula, per dare il tempo ai tecnici di palazzo Madama di stampare il tutto e renderlo disponibile all’esame dei singoli senatori. “Gli emendamenti possono andare e venire”, ha precisato comunque Calderoli, che afferma di voler “vedere gli emendamenti della maggioranza” e “aspettare risposte” alle sue richieste, prima di decidere il da farsi: “Quando saranno visibili – ha spiegato – dirò se sono soddisfatto o meno e se c’è la totale o parziale possibilità di ritiro”.
È il regno dell’assurdo presentare milioni di emendamenti – ha commentato tra il serio e il faceto il sottosegretario Luciano Pizzetti – a questo punto costa più Calderoli che tenere aperto il Senato. Aboliamo Calderoli”.

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