dalla newsletter di Alberto Pagani (Deputato PD)
La sesta azienda del Paese punta sugli investimenti per il trasporto locale, con 4,5 miliardi per il rinnovo dei treni per pendolari, sulla mobilità urbana e l'integrazione dei servizi
Dopo alcuni mesi dal suo insediamento come amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, l'ingegnere Renato Mazzoncini è intervenuto in commissione Trasporti per illustrare le prospettive e le politiche di sviluppo del Gruppo, chiarendo inoltre la posizione del nuovo Cda sulla quotazione in Borsa del 40% dell'azienda (di cui ho scritto già in altre newsletter). È stato un incontro estremamente proficuo, in cui l'Ad ha espresso un approccio condivisibile, ovvero che Fs debba diventare sempre più un'azienda per la mobilità con al centro le esigenze di chi viaggia e non “il treno”, i bisogni del cittadino e non il mezzo che prende.
Ovvero che Fs non debba più concepire i clienti come persone da prelevare in una stazione e da riconsegnare in un'altra, a prescindere di quel che c'è attorno alle stazioni, dai servizi, da come ci si arriva. Il viaggio, per una persona, non inizia infatti al binario: riconoscere questo dato, che sembra banale, imposta invece un ragionamento più ampio sulle città e le loro connessioni interne, che è al fine un ragionamento politico. E comporta un cambio di paradigma. Le parole di Mazzoncini vanno in questa direzione.
Parto da alcuni dati generali. Il nuovo Ad ha prima di tutto espresso apprezzamento per il lavoro svolto dalla precedente amministrazione: negli ultimi 10 anni Fs ha realizzato in maniera compiuta e competitiva le linee dell'Alta velocità e messo a posto i conti. Nel 2005 la società perdeva infatti 2 miliardi di euro; nel 2015 ha chiuso il proprio bilancio con 300 milioni di utile netto (e nel 2016 è previsto un incremento). Oggi Fs, con 8,4 miliardi, è la sesta azienda nazionale per fatturato, la terza per numero di dipendenti (circa 70mila) e la prima per investimenti (4 miliardi nel 2015, 6 miliardi nel 2016). Fs è poi terza azienda europea per il percorso ferroviario a lunga percorrenza, quarta per il trasporto regionale, ugualmente quarta per il trasporto su gomma e quinta per il trasporto merci. Attraverso la partecipata BusItalia, Fs è diventata anche la terza azienda italiana (dopo Atac Roma e Atm Milano) per il trasporto su gomma locale. Buone anche le performance internazionali, che iniziano ad avere un valore significativo soprattutto sui due filoni su cui Fs ha le competenze maggiori: l'Alta velocità e la gestione delle linee. Cito due esempi: come general contractor Fs ha firmato un accordo per la realizzazione di due tracciati di Av in Iran; come gestore delle linee Fs sta partecipando in Gran Bretagna a una gara per la Londra-Edimburgo, unica azienda non britannica ammessa. Negli ultimi 10 anni c'è stato quindi un riposizionamento che ha dato stabilità all'azienda e l'ha fatta crescere. Anche per questo, il piano 2016-2020 si può finalmente concentrare sullo sviluppo di due asset rimasti in ombra: il trasporto locale e il trasporto merci. Il rafforzamento di questi settori corrisponde a una decisione non solo aziendale, ma politica, ovvero è un obiettivo che Fs ha stabilito come prioritario assieme al Governo.
La rimessa in sesto del bilancio avvenuta anche e molto grazie a un forte investimento sull'Alta velocità è stata importante nel recente passato ma ha anche tolto risorse al trasporto regionale. La ragione per cui, negli scorsi anni, tale servizio è rimasto indietro, deriva però secondo Mazzoncini anche dal meccanismo stesso con cui si finanzia questo segmento, che gode di un contributo pubblico annuale del 70% tramite lo strumento del contratto di programma con lo Stato. L'Alta velocità non gode di questo tipo di meccanismo e si basa soprattutto sull'uso reale che i cittadini fanno dei treni (comportando, insomma e per forza, un ragionamento economico e manageriale). Visto che il meccanismo di contribuzione è basato sulle gare, secondo Mazzoncini il problema delle tratte locali si crea laddove, una volta che l'azienda abbia vinto la concessione, il contributo annuale assicura il funzionamento del servizio indipendentemente dallo standard e dal numero di utenti. Non si concorre nel mercato, ma per il mercato, ovvero per l'accesso. Una volta ottenuto l'accesso, il contributo viene ricevuto anche a prescindere dal servizio offerto, con la conseguenza che il peso del cliente diminuisce, perché quel 30% che manca per la copertura finanziaria totale non è realmente in relazione all'utilizzo. Il conto economico coperto dal passeggero è insomma scarso e fare investimenti su queste linee diventa poco appetibile. Mazzoncini ha quindi insistito molto sulla necessità di cambiare il meccanismo regolatorio, e anche il contratto di programma così concepito, per stimolare le aziende a investire. La riforma della Pubblica amministrazione, che si occupa anche di trasporto pubblico locale, può contribuire a modificare il meccanismo per far crescere il peso dell'utenza e far sì che anche sulle tratte locali l'azienda debba avere un riscontro più legato alla fruizione.
Altra questione importante per il trasporto regionale è quella delle gare per il rinnovo del parco-treni: i contratti tra le Regioni e le società, quindi anche Fs, sono a scadenza ma la tempistica su quando saranno indette le gare è incerta, il che rende tutto più farraginoso e non sottoponibile a un'analisi quantitativa definita. Sempre la riforma della Pa obbligherà però le Regioni a scegliere se: realizzare le gare per il rinnovo dei mezzi o procedere per affidamento diretto. La riforma Madia porta a dover decidere una delle due opzioni, pena un taglio nel 2017 del 15% del fondo per il trasporto locale per le Regioni che non sceglieranno. Questa norma può essere dirimente per rischiarare il quadro e rilanciare gli investimenti. Trenitalia, dunque Fs, è infatti pronta a rispondere, avendo dato il via a una commessa record da 4,5 miliardi per l'acquisto di nuovi 500 treni per pendolari in vista dei rinnovi contrattuali. Si tratta di una vera e propria svolta nella strategia del Gruppo perché il rinnovo dei treni locali, negli scorsi anni, è stato lasciato indietro rispetto al rinnovo delle “Frecce” dell'Alta velocità. La ragione, in parte, è sempre la stessa: sull'Av c'è un mercato chiaro e si è in grado di stimare il ritorno degli investimenti con un calcolo economico (per 50 treni “Freccia” di ultima generazione sono stati spesi un miliardo e mezzo di euro e il rientro sta corrispondendo alle previsioni). Sui treni regionali, vista l'aleatorietà della gestione delle gare, Fs non ha le stesse garanzie. Faccio notare che la prima Regione che ha indetto il bando per il rinnovo dei convogli è stata l'Emilia-Romagna: entro il 2019 avremo un consistente cambio della flotta ferroviaria, a fronte di circa 700 milioni di euro. Bene che la nostra Regione, presa a modello dallo stesso Mazzoncini, sia stata celere a rispondere. Ma ora che la commessa da 4,5 miliardi è stata avviata, la responsabilità nel dare corpo a questa pressoché inedita potenzialità di spesa spetta anche e molto agli enti territoriali. Mazzoncini, pertanto, ritiene che sarebbe positivo che le Regioni procedessero per affidamento diretto di lunga durata (15 anni) del servizio. L'importante è quindi, a suo avviso, dare risposte rapide, anche al di là del meccanismo delle gare: poiché la riforma Madia accelera il processo, per Mazzoncini l'obiettivo è arrivare al 2017 con contratti di affidamento in tutte le Regioni mettendo così in opera quei 4,5 miliardi ora sul piatto. Per quanto riguarda invece il trasporto merci, l'Ad ha annunciato proprio in audizione la creazione della nuova società di Fs, che controlla già una decina di società nel settore ma prive di un coordinamento (l'assenza di un interlocutore unico ha fatto perdere all'azienda quote di mercato). Mercitalia sarà la holding che integrerà il lavoro delle aziende già esistenti, che verranno assorbite, e la sua creazione si accompagnerà a un rinnovo dei convogli per un investimento di circa 220 milioni.
Un deciso cambio di mentalità è stato esposto per quanto riguarda il trasporto cittadino: Fs nel 2020 vuole arrivare a detenere una quota del Tpl su gomma pari al 30% del mercato (partendo dal 6% attuale). È a mio avviso qui che emerge chiaramente l'intento di Fs di diventare un'azienda per la mobilità complessivamente intesa. L'obiettivo è infatti arrivare a servizi aggregati o integrati ferro/gomma, sfruttando tutte le sinergie industriali, commerciali e tariffarie possibili. Per fare un esempio di cosa si intenda, basta pensare a come è cambiato in pochissimo tempo l'uso del car sharing nelle grandi città. Oggi l'utente non chiede più “una” macchina, ma vuole trovare la macchina più vicina disponibile e per farlo usa un'applicazione sul cellulare, per cui al fine il cittadino non è tanto cliente di “Car to go” o di “Enjoy”, ma della App che ha organizzato le sue necessità. Gli utenti però ragionano nella stessa maniera su tutta la sfera della mobilità, quindi lo sviluppo di facilitazioni per integrare i sistemi fra loro è uno degli ambiti più strategici che ha di fronte a sé il Gruppo. Significa mettere in relazione i treni con i servizi urbani, con le società di car sharing, con le aziende locali di trasporto pubblico, con il sistema delle bici pubbliche: mentre alcuni Paesi hanno già coordinato i vari pezzi della mobilità tra loro, in Italia per usare il bike sharing bisogna avere una tessera dell'azienda pubblica locale (cosa che tra l'altro rende difficile a un turista utilizzare la bici in una città italiana), ma la stessa cosa vale per il car sharing, ecc. Ogni segmento ha una tessera diversa dall'altra, una filiera differente dall'altra. Senza dialogo. Una delle sfide è invece proprio l'integrazione dei servizi (poter fare il biglietto del treno e al tempo stesso il biglietto dell'autobus della città in cui si arriva, ad esempio), un mercato dalle potenzialità enormi e che parte proprio dall'assunto che non basta più pensare al treno per innovare, perché non esiste nessuna “origine-destinazone” che si limiti alla stazione. L'idea di Fs è dunque fare accordi con i gestori dei servizi pubblici locali, i servizi di scambio auto, proporre integrazioni tariffarie e biglietti coordinati. La tecnologia oggi rende possibile e appetibile questo obiettivo. Il tema più corposo è quindi un ripensamento dei servizi del Gruppo attraverso l'implementazione di una Società universale “gomma e ferro” che accompagni l'intero comparto a una visione integrata e finalizzata ai bisogni reali dei passeggeri.
Infine, Mazzoncini ha chiarito alcuni punti sulla quotazione del 40% di Fs in Borsa. Su cui non ha espresso alcuna contrarietà, anche perché il decreto ministeriale sancisce che potranno diventare azionisti: i risparmiatori, i dipendenti del gruppo, banche e fondi, e che nessuno potrà avere quote maggiori al 5%. Dunque nessun gruppo privato potrà avere un controllo particolare su Fs, che resta nella sostanza azienda pubblica: per come è concepito lo schema, il controllo resta saldo allo Stato. Lo slittamento dei tempi (la privatizzazione era prevista per il 2016, ma andrà sicuramente al 2017) non è motivato da avversione ma dettato dal bisogno di capire come arrivare sul mercato azionario. La rete infrastrutturale, ossia i binari, resteranno infatti totalmente pubblici quindi non saranno inseriti nel processo di quotazione. La rete però è la parte di maggior valore patrimoniale di Fs: 26 miliardi sui 36 miliardi complessivi del Gruppo. Anche se non ha una resa economica, perché non produce utile, ha un valore ingente dal punto di vista finanziario e il suo scorporo penalizzerebbe la società. Quando Fs chiede finanziamenti per le opere, le banche li concedono a tassi di interesse bassissimi a fronte di un enorme patrimonio dato soprattutto dalla rete. Lo scorporo dei binari da Fs a un altro soggetto pubblico, ipotesi circolata tempo fa, porta con sé, secondo Mazzoncini, una criticità, ossia l'indebolimento patrimoniale di Fs, che perderebbe 26 miliardi e avrebbe con ciò un altro tipo di rating bancario. Pertanto il Gruppo e il Ministero stanno studiando soluzioni alternative, al momento non ancora individuate, ma che conducono a un tempo più lungo per la quotazione. Inoltre, il processo di quotazione richiede un impegno e una concentrazione che oggi Fs intende mettere sui progetti di sviluppo. Portare in Borsa il 40% dell'azienda comporta modifiche all'organizzazione delle attività interne, poiché è un processo che drena quantità importanti di lavoro focalizzate ora altrove. Il tema è stabilire cosa sia prioritario: mi pare che per Mazzoncini la risposta sia chiara, ovvero che prima si debba lavorare per migliorare il trasporto, soprattutto quello locale, e ripensare il modello di mobilità che Fs vuole rappresentare per il cittadino. I progetti, in sintesi, sembrano più urgenti rispetto al resto e Mazzoncini vuole prima stendere il piano industriale da presentare entro l'estate. Nessuna preclusione alla cessione del 40%, ma bene farla con un'idea di sviluppo forte e con una struttura patrimoniale chiara, anche per renderla realmente remunerativa per i cittadini che vogliano investire.
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