In questa intervista di Deana Sbarzaglia, pubblicata su Il Senio nell'aprile 1988, Corrado Foschi, gestore del ristorante Corona, racconta la storia del suo locale, rinomato per i piatti a base di cacciagione.
Da Il Senio, aprile 1988 – n. 40
Intervista di Deana Sbarzaglia
Il Corona è uno dei più antichi ristoranti di Casola. Situato in piazza Sasdelli, è attualmente uno dei più rinomati della zona per quanto riguarda i menù a base di cacciagione.
Le caratteristiche che ha attualmente questo locale, sono il frutto del lavoro e delle scelte che da anni compie la famiglia del signor Corrado Foschi, che gestisce il locale da ben tre generazioni.
«Il Senio» ha voluto incontrare il signor Corrado per ascoltare la storia del suo ristorante che incomincia quando il padre, ex carabiniere, torna a Casola e acquista il locale.
«I primi a gestire il locale furono i miei genitori. Inizialmente, quando mio padre l’acquistò, era una rivendita di vino e funzionava anche come osteria.
Allora i bar non esistevano e le osterie erano i luoghi di incontro.
Qui i clienti stavano tutto il giorno, bevendo vino e giocando a carte fino a tarda sera.
Spesso cenavano qui. Ricordo che cuocevamo chili e chili di maccheroni. Il locale era allora molto piccolo, arredato con grandi tavole conteneva pochi posti, 25/30 circa.
Giornalmente per pranzare non veniva quasi nessuno, solo il martedì e i giorni di mercato il locale si riempiva. I clienti erano prevalentemente contadini che si fermavano in paese per pranzare; la domenica non si lavorava. Le giornate più attive per il ristorante erano quelle di Mezza Quaresima e Santa Lucia, nelle quali si lavorava 4-5 giorni consecutivi.
A quei tempi il pagamento dell’uva si faceva per Santa Lucia e con quello che incassavamo in quei giorni riuscivamo a coprire buona parte delle spese».
«Anche le condizioni di lavoro erano molto diverse» ci racconta la signora Teresa, la moglie. «Quando venni io, 54 anni fa, non c’era neanche il frigorifero. Portavamo in cantina la roba che rimaneva giornalmente.
Non avevamo scorte; ad esempio, quando ci occorrevano delle braciole capitava di correre dal macellaio a mezzogiorno in punto.
Non c’era neppure l’acqua, andavamo a riempire i secchi giù alla fontana, ricordo anche che si lavavano i tovaglioli nel fiume».
«Quando abbiamo cominciato a gestire il locale io e mia moglie, abbiamo cercato sempre più di caratterizzarlo come ristorante; quella che una volta era un’osteria ora è un ristorante con 90/100 posti.
Tutto questo ci ha dato molte soddisfazioni.
Abbiamo cercato poi di specializzare il ristorante nella cucina della caccia, perché era molto richiesta e inoltre altri menù si trovano un po’ dappertutto.
Tante volte erano i clienti stessi a portarla e non la cucinavamo.
Cucinare la caccia è molto impegnativo. Richiede molta preparazione ma in compenso ha contribuito a farci conoscere.
Ora abbiamo anche tantissimi clienti forestieri».
Che cosa è rimasto nel suo menù della cucina di una volta?
«Sono rimaste praticamente solo le tagliatelle. Allora la cucina era molto più semplice, si facevano le lasagne al forno solo per le fiere, vi era un’unica portata di primo e secondo.
Generalmente si mangiavano maccheroni, pasta e fagioli.
Quest’ultima non la chiede più nessuno ma sono convinto che tanti la mangerebbero ancora volentieri».
Dai primi mesi del 1988 la gestione del ristorante è passata alla figlia del signor Corrado, Rita e al marito Giorgio. Già da anni lavorano al ristorante e costituiscono la terza generazione alla guida del locale.
Che cosa pensate di cambiare ora?
«Continueremo nella direzione che ormai il ristorante ha assunto da tempo. I clienti che vengono qui cercano questo tipo di cucina e quindi non sentiamo la necessità di cambiare».
Quando stiamo per congedarci, il signor Corrado indica i nipotini Anna e Andrea.
«Vedi, loro sono la quarta generazione!»
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