Ruenza Santandrea, presidente del consorzio CEVICO di Lugo |
Che stagione sta vivendo il vino?
«Il consumo di vino è ancora fermo ai minimi storici in Italia tra stagnazione e lieve calo. Uno degli errori maggiori che abbiamo fatto nel passato è stato slegare il vino dal consumo del cibo. All’estero assistiamo invece ad una crescita, soprattutto in Asia. Inoltre è in crescita il biologico, dove siamo i primi per quantità di bottiglie in regione. Crediamo molto nel bio perché nel nostro dna c’è il rispetto del territorio, delle persone che ci lavorano e dei consumatori: la sostenibilità ambientale è ormai imprescindibile. E i soci ci stanno seguendo».
E Cevico?
«Il 31 luglio abbiamo chiuso il bilancio (agricolo, ndr) 2016/2017 in crescita sia a volume (+2%) che a valore (+ 6%), anche se manca ancora il dato del consolidato. Questo è frutto di una lieve flessione in Italia (circa il 2%), compensata da una forte crescita dell’export: +11% a volume e +16% a valore. I dati definitivi li presenteremo a dicembre in assemblea. Con quantità più modeste, abbiamo iniziato a gestire alcune cantine in Umbria e collaborazioni in Abruzzo, Puglia, Toscana e Sicilia per completare la gamma dei nostri prodotti».
Le aree più interessanti dove commercializzate il vino dei soci?
«L’export vale circa il 30% del fatturato. Siamo presenti in 60 Paesi e quelli più importanti sono Cina e Giappone. In Russia abbiamo avuto una flessione, ma rimane potenzialmente un mercato da sviluppare. Tra i mercati più importanti dove ci sono ottimistici margini di crescita rientrano anche gli Stati Uniti. Puntiamo molto su un aumento dell’export».
L’obiettivo?
Sorride. «Arrivare ai risultati delle grandi cooperative trentine che esportano l’80% dei loro prodotti, sarebbe il massimo. Ma spero e credo che i consumi in Italia possano tornare a crescere».
Vendere Sangiovese e Trebbiano all’estero non è semplice. Chiedete ai vostri soci vitigni più internazionali?
«Non credo molto nei vitigni internazionali piantati in Romagna. Va bene che ci siano per piccole produzioni, ma non sappiamo quanto questi vitigni reggano nel nostro terreno: un impianto di Trebbiano dura trent’anni. Inoltre ci sarà sempre chi lo fa in un terreno più adatto e quindi meglio di noi. Abbiamo diversi vitigni tra cui Pignoletto, Sangiovese e Trebbiano hanno grandi potenzialità. Quest’ultimo, ad esempio, è ottimo per la spumantizzazione e molto utilizzato per tagli e per i vermut. Il problema è che non facciamo squadra».
A cosa si riferisce?
«Dovremmo potenziare le iniziative di promozione e sensibilizzazione in estate nella Riviera, come abbiamo fatto quest’anno in alcuni bagni, con un mix di piccoli e grandi produttori. Più ce ne sono meglio è. Se una piccola cantina vende 10mila bottiglie in più, sono contenta: vuole dire che piace il prodotto e io ne venderò 100mila in più».
Nota un cambio nella fruizione (e quindi nelle vendite) del vino?
«Il modo di consumare vino è cambiato e noi ci dobbiamo adattare. Oggi, rispetto a qualche anno fa, vanno per la maggiore vini veloci, freschi e facili da bere come Prosecco e Lambrusco, mentre assistiamo a una flessione dei vini barriquati. Molti consumatori sono stanchi di una narrazione un po’ pretenziosa, c’è voglia di semplicità: come nella moda anni fa, c’è bisogno di una rivoluzione nella libertà di gusto. Se ti piace bere il rosso col pesce, hai tutto il diritto di farlo senza essere ‘guardato male’. Che poi, in questo caso, sarebbe anche una riscoperta delle tradizioni».
Cioè?
«I pescatori romagnoli offrivano un Sangiovese fresco giovane con le saraghine alla griglia, mica il vino bianco».
intervista di Christian Fossi (settesere, 18 settembre 2016)
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