Di fronte agli scontri di giovedì nella ‘sua’ biblioteca di via Zamboni e soprattutto al dilagare di commenti a favore della protesta, non ha resistito. Ha preso in mano il suo cellulare (a 20 anni carta e penna si usano poco) e si è sfogata con un lungo post su Facebook, raccontando le difficilissime condizioni di lavoro al ‘36’. «Non voglio fare l’esperta della situazione, ma avendoci lavorato tutti i giorni per quattro mesi qualcosa posso dire. Chi mi conosce potrà confermare che potete trovare poche persone più di sinistra di me, ma voi lì non c’eravate». Emilia Garuti, studentessa, un romanzo già pubblicato e la passione per la politica, ha fatto il botto: più di 5.000 like, oltre 2mila condivisioni (*), l’apprezzamento di professori e moltissimi studenti.
Emilia, che spiegazione dà a questo riscontro?
Veramente non so che dire, io ho solo voluto raccontare la mia esperienza di lavoro al ‘36’ a chi parla senza saperne nulla.
Descrive situazioni oltre ogni limite.
Nei mesi di tirocinio ho visto di tutto. Non posso dimenticare il volto di quella ragazza che venne piangendo da me al banco prestiti con la maglia sporcata da un punkabbestia che era entrato nell’aula studio e si era masturbato su di lei.
Ha mai avuto contatti con i collettivi antagonisti?
«Purtroppo molto spesso. Alcuni di loro spaccarono una vetrina dell’area ristoro durante una rissa e per settimane abbiamo avuto una guardia giurata col mitra e i cani in cortile.
Provavate a parlarci?
Le poche volte che si palesano, non sono propensi al dibattito. Usano spesso modalità violente.
Cosa pensa dei tornelli?
La considero una soluzione estrema a una situazione sfuggita di mano. Daltronde non si può dare fiducia a chi non dimostra di meritarsela. Il ‘36’ non è una biblioteca comunale, aperta a tutti, ma universitaria, dove si entra con un badge come accade in tutto il mondo.
Nel suo post se la prende con chi rivendica la protesta «inneggiando alla libertà», ma «senza saperne un bel niente».
Io posso comprendere, anche se non le condivido per nulla, le ragioni di chi protesta contro i tornelli o l’ateneo, ma mi ha dato molto fastidio vedere chi ha rilanciato questa vicenda parlando di libertà, ribellione e lotta alla repressione. Queste persone non hanno idea di ciò che si vive al ‘36’, di cosa fanno i collettivi a chi ci lavora o va lì per studiare. Sparano grandi concetti, senza saperne nulla. Che senso ha?
(Il Resto del Carlino, domenica 12 febbraio 2017)
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(*) Il post di Emilia Garuti su facebook, dove ha già raccolto 8.500 like e 3.384 condivisioni (…ore 15 del 12 febbraio)
Sulla questione tornelli non voglio arrivare e fare l'esperto a della situa ma avendo lavorato tutti i giorni per 4 mesi al 36, qualcosa posso dire.
Chi mi conosce potrà confermare che potete trovare poche persone più di sinistra di me, ma voi lì non c'eravate.
Quando abbiamo visto arrivare al front desk una ragazza in lacrime coi pantaloni pieni di sperma, voi non c'eravate. Tutte le volte che abbiamo dovuto chiudere i bagni per giorni per disinfettarli completamente perché ci abbiamo trovato delle siringhe, voi non c'eravate. Quando per una rossa hanno spaccato la vetrina dell'area ristoro e abbiamo dovuto convivere per settimane con una ronda di guardie giurate armate e con pastori tedeschi, voi non c'eravate. Quando, solo perché volevo avvertire la malcapitata di uno scippo, sono stata inseguita fin dentro la biblioteca è minacciata di botte, voi non c'eravate. E nonostante queste siano le cose che succedono quando la biblioteca è aperta la sera, quest'anno si è deciso di prolungare l'orario di apertura fino a mezzanotte proprio per garantire più tempo allo studio. Queste aperture sono basate sulla fiducia, fiducia che in questo modo viene tradita. Il comunismo e la libertà totale degli spazi sono concetti sacri, ma presuppongono l'utopia che tutti siano brave persone e che rispettino il concetto che la mia libertà termina dove inizia la tua. Non è stato così è la situazione è grave, così bisogna intervenire con misure drastiche di modo da poter garantire la libertà che si meritano le persone che davvero vogliono studiare, che hanno rispetto per gli altri e per gli spazi che hanno contribuito a pagare e che non si meritano che gli venga eiaculato addosso. A coloro che protestano al grido "noi siamo studenti che vogliamo studiare", a parte la grammatica che forse è quella che devono studiare e non riescono per colpa della polizia, dico solo che se siete veramente studenti allora avrete il badge e non avrete problemi a passare i tornelli e avrete anche il rispetto di non rompere i tavoli e le sedie dove tutti studiamo gettandoli in aria e di non strappare i libri di studio che sono di tutti e che poveri stronzi come ero io poi dovranno riaggiustare e mettere a posto. A quelli dico: non è voi studenti che i tornelli vogliono lasciare fuori, ma tutti quelli che usano la biblioteca come porcile per drogarsi e fare i proprio comodi.
Quelli che sono favorevoli alla protesta e che vivono ogni giorno la realtà del 36 probabilmente avranno motivazioni migliori delle mie per pensarla così.
Ma a quelli che condividono su fb la notizia inneggiando alla libertà (pur criticando ovviamente i modi violenti) che non vivono più o meno quotidianamente il 36 (e badate che dico proprio il 36 perché se da facoltà a facoltà le biblioteche cambiano, in via zamboni cambiano da edificio a edificio) ecco a quelli proibisco di parlare della faccenda (anche se poi fanno come vogliono) perché davvero ragazzi, non ne sapete un bel niente. È un pessimo modo di fare politica quello di sparare grandi massime senza calarsi nella realtà dove c'è il problema. Se volete protestare, fatelo per la situazione di degrado insostenibile che ha costretto a usare questi metodi che certo non risolvono il problema tenendolo fuori, ma magari garantiscono una piccola dose di pace per studiare. L'ho tenuto lungo.
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