martedì 28 febbraio 2017

L'intervento di Walter Veltroni all'Assemblea nazionale PD, sulla democrazia e le divisioni a sinistra

Walter Veltroni (l'Unità, 26 febbraio 2017)

Ci accorgiamo di quello che sta accadendo intorno alle discussioni e divisioni della sinistra?

Molte persone mi hanno chiesto di pubblicare il testo del mio discorso all’assemblea nazionale. Lo faccio, sperando possa essere utile. Voglio solo fare una premessa: ci accorgiamo di quello che sta accadendo intorno alle discussioni e divisioni della sinistra?

Prendo gli ultimi tre giorni, solo quelli. Dunque: il leader della Lega, una persona che potrebbe avere in futuro importanti incarichi di governo, mette in rete un messaggio in cui rilancia, sostenendolo, l’aberrante video girato da due tipi che si beano per aver recluso in un contenitore di rifiuti due donne nomadi.

Salvini aggiunge di suo, a quel filmato agghiacciante, le seguenti parole: “ma quanto urla questa disgraziata?”. Ciò che è più terribile è vedere che ci sono stati decine di migliaia di “like” e leggere i commenti di persone che inneggiano al gesto e anzi incitano a forme ancora più efferate di discriminazione.

Negli Usa il novo presidente annuncia una fase di implementazione della corsa agli armamenti nucleari, invertendo la tendenza della presidenza Obama. Non è poco. Infine, nel disinteresse dei più, Trump ha impedito l’accesso in un suo incontro stampa a giornali che lui ritiene scomodi. Mi ha colpito che gli altri colleghi abbiano accettato questa discriminazione impensabile e non siano andati via.

Tre episodi, tra loro diversi, che dovrebbero farci riflettere su questo tempo. Non ci accorgiamo che la democrazia scricchiola? La democrazia non è fatta solo di regole e di istituzioni, è fatta in primo luogo di uno spirito, di un bisogno di libertà diffuso. Io, lo dico sinceramente, penso che mai come oggi questa non sia più una certezza. Alla sinistra vorrei dire che prima di frantumarsi in mille schegge l’una contro l’altra armata, dovrebbe capire quello che sta accadendo nel profondo dell’opinione pubblica, specie negli stati più deboli e abbandonati dalla politica.

Da molto tempo non partecipo alle riunioni degli organismi del nostro partito. Le mie scelte di vita, operate con la necessaria radicalità, mi hanno spinto a decidere così. Non è stato facile, come tutto il resto, ma era e sarà giusto così. Però oggi credo sia mio dovere prendervi pochi minuti per dire quanto mi sembri sbagliato e mi angosci quello che sta accadendo. E vorrei rivolgermi alle compagne , i compagni , agli amici con i quali abbiamo condotto tante battaglie, abbiamo conosciuto vittorie e sconfitte, momenti di gioia e stagioni difficili. A loro vorrei dire di non separare la loro strada da quella di tutti noi.

E non rivolgo questo appello in nome del tradizionale invito, pur legittimo, all’unità. No, lo dico perché del loro punto di vista, del loro senso critico, delle loro idee il partito democratico ha bisogno. Penso allo smarrimento e al dolore che stanno provando le persone che, in questi dieci anni, hanno creduto nell’idea e nella novità del partito democratico.

Il Pd non nasce dal nulla, c’è una storia dietro il nostro cammino. Un cammino lungo che tutti, nessuno escluso, dovremmo tenere sempre nella mente e nel cuore. La storia non comincia con nessuno di noi, mai. Per la prima volta, dal novecento, la grande maggioranza delle forze riformiste italiane, eredi di coloro che combattendo uniti il regime avevano riconquistato la libertà per tutti, si sono incontrate, nel Pd. Caduto il muro, finite le ideologie, non c’era ragione per la quale i riformisti non dovessero unirsi, non dovessero proporsi come governo possibile di questo paese. Prima del 1989 queste forze erano state legittimamente divise dalla storia. Ma, dopo, sono state divise solo dalle proprie logiche di contrapposizione.

Vogliamo ricordarci per una volta che nel 1994 se i progressisti e i popolari fossero stati uniti avrebbero vinto le elezioni e Berlusconi non avrebbe governato l’ Italia? Vogliamo dirci che se l’esperienza del primo governo Prodi, quello dell’Ulivo, fosse proseguita, la storia italiana avrebbe avuto un altro corso? Vogliamo dirci che dopo le elezioni del 2006 nella coalizione successe di tutto: la maggioranza che in parlamento votava contro il governo, le manifestazioni contro l’esecutivo con la presenza di ministri dello stesso? Vogliamo dirci che se non vi fosse stata la divisione nella sinistra Romano Prodi sarebbe stato eletto nel 2013 Presidente della Repubblica?

La sinistra, quando si è divisa, ha fatto male a se stessa e al paese. Questa è la verità. È stato proprio questo il demone della sinistra. La malattia è di natura politica e ridurla ai caratteri delle persone è una scorciatoia facile, come lo è cercare, personalizzando ,i capri espiatori di una sindrome profonda. Il Pd era nato per superare tutto questo. L’idea del Lingotto non era solo costruire la sintesi tra cattolici democratici e sinistra , era fare un partito tutto nuovo, per identità, programma e forma. Un partito del nuovo millennio, davvero riformista e davvero radicale. Non ossificato in correnti, male che non smette di devastare il Pd, ma terreno di partecipazione autentica , capace di innovazioni coraggiose e ben saldo sulle sue radici profonde.

Un partito della sinistra, non un indistinto. Quanto male ci hanno fatto le fole sui partiti della nazione o le stupidaggini sul fatto che non esistono più destra e sinistra! Ci stanno pensando Trump e la Le Pen a ricordarci la meravigliosa differenza che esiste tra chi pensa ad una società delle opportunità sociali e dell’inclusione umana e chi considera poveri e immigrati come pericoli o relitti da rimuovere. Il Pd è, ancora oggi, anche per merito di tutti i segretari che sono venuti dopo di me, la forza che può , da sinistra, immaginare di costruire una maggioranza nella società, prima che in parlamento. C’è una cosa a cui tengo: combattete sempre l‘idea che la sinistra sia obbligatoriamente minoranza in questo paese. Perché se lo è ,allora sono minoranza le ragioni dei diritti, della giustizia sociale, delle libertà di scelta. Sono minoranza i più poveri. Per questo, fosse anche solo per questo, la sinistra non può permettersi di essere minoranza per scelta, non ne ha il diritto. La sinistra democratica deve coltivare l’obiettivo di conquistare consensi ampi in virtù della forza, della radicalità e della coerenza della sua proposta. E , consentitemi di dirlo con affetto, non sarà con la parola d’ordine della rivoluzione socialista che questo accadrà.

Il Pd nacque per fusione, non per scissione. Io ne ho vissute, di separazioni : quella di Rifondazione, ad esempio, quando Occhetto, con un coraggio che mai gli è stato pienamente riconosciuto, salvò e trasmise in avanti la storia migliore del Pci. Non ero d’accordo con chi fece quella scelta di rottura ma rispettavo il loro travaglio, la profondità di un dissenso che nasceva dalle idee e solo da quelle.

Due sociologi francesi hanno descritto questa fase storica come la stagione delle “passioni tristi”. Temo abbiano ragione. Dentro questa dimensione io inscrivo la possibilità che si rompa oggi il più grande partito della sinistra europea per una questione che rischia di non restare scolpita nei libri di storia. So bene che esistono contrasti più di fondo ma all’opinione pubblica appare fin qui una questione interna , di procedure e tempi. Le differenze ideali, programmatiche, politiche e persino sulle questioni etiche sono legittime e , per me , vitali in un partito che non può mai essere né un monocolore né un partito personale ma una comunità aperta, fatte di differenze, unita da un comune sentire, da un comune sperare. Da tempo sono allarmato per l’abulìa della sinistra di fronte alla fase di più sconvolgente cambiamento storico che la nostra generazione abbia conosciuto. Tutto si sta rivoluzionando, il modo di lavorare, di distribuire la ricchezza, di sapere, di comunicare, di essere in relazione tra le persone. La precarietà è diventata il segno devastante di esistenze appese. Le tecnologie riducono lavori e la formazione, ancora non diventata cuore sociale e culturale della sinistra, non prepara al nuovo, non educa a un mondo che la politica stessa sembra non capire, non interpretare. Siamo immersi nella più lunga recessione degli ultimi due secoli, l’Occidente è segnato da grandi ondate migratorie, i mutamenti demografici stanno sconvolgendo il welfare. C’è o no materia per una riflessione collettiva di una sinistra che in tutto l’Occidente oggi è ai margini? La destra lo ha fatto, con consenso, e se ne vedono i segni. Ci accorgiamo che oggi vengono pronunciate parole di odio e discriminazione che ieri erano impronunciabili? E la sinistra ha il dovere di opporsi, anche in termini valoriali, a tutto questo. E ora la cosa che mi sta più a cuore, da tempo: la democrazia oggi fa fatica, sembra incapace di guidare un mondo troppo veloce per le sue regole, sembra stretta nell’alternativa tra un inquietante bisogno di semplificazione, persino autoritaria, e il mito della democrazia diretta.

La democrazia non è manna dal cielo, è stata, un’ eccezione , nella storia umana. Vive se è trasparente, se decide, se funzionano i controlli. Ma vive anche se è capace di immaginare nuove forme di partecipazione e di sussidiarietà dal basso, che coinvolgano e responsabilizzino i cittadini sottraendoli così alla subalterna ed esclusiva pratica dell’invettiva . La democrazia vive se i governi sono stabili. Guardate che davvero può essere devastante la prospettiva di nuove elezioni nelle quali non ci siano maggioranza e governo possibili. Dico la mia opinione, per quello che vale: sbaglierebbe chi pensasse che il modo migliore di contrapporsi ai Cinque Stelle sia la costruzione , di nuovo, di una grande alleanza “contro”.

Non sarà il consociativismo a sconfiggere l’antipolitica , sarà il riformismo vero. E fatemi aggiungere che se ora la prospettiva è un sistema proporzionale, con tanti partitini capaci di condizionare il governo e decretarne l’instabilità, con le preferenze ,che considero lo strumento più perverso del rapporto tra eletti ed elettori, rapporto che solo il collegio uninominale rende trasparente e virtuoso; se la prospettiva è il ritorno ad un partito che sembra la margherita e un altro che sembra i ds e a coalizioni eterogenee tenute insieme da logiche di potere; allora non chiamatelo futuro, chiamatelo passato. Un Pd più debole, un centro sinistra dilaniato da polemiche, aiutano ad affrontare queste sfide? Aiutano ad evitare che prevalgano ovunque forze la cui intenzione è la distruzione della più grande conquista del dopoguerra, l’Europa unita? La domanda è questa, solo questa. Un partito vale per gli altri, non per se stesso.

Dobbiamo abituarci a convivere , a essere, di volta in volta, maggioranza e minoranza, in un partito. Ma stando insieme, sempre rispettandoci e valorizzandoci. Vi devo dire la verità. Guardandolo da più lontano oggi il Pd sembra più impegnato in interminabili discussioni per decidere ciò che conviene ai singoli piuttosto che per decidere ciò che è più giusto per gli altri. Ciò che dovremmo fare. Vorrei dirla in questo modo : meno riunioni di corrente, più rappresentanza di bisogni s o ciali. Noi siamo figli di gente che ci ha educato così. Non pensavano a se stessi o a cosa conveniva loro i ragazzi che uscirono finalmente liberi da Via Tasso dopo la liberazione.

Non pensavano a se stesse le donne che, affermando i loro diritti, hanno scosso l’Italia facendola diventare moderna. Né lo facevano i cattolici che affermavano la pace quando la guerra sembrava ovvia. Non pensavano a se stessi, gli operai che scioperavano contro il terrorismo. Noi siamo figli di questa storia e di molto altro. Ho finito, mi scuso, ma sentivo il dovere di essere con voi, oggi. Perché spero che quella bandiera, quel simbolo, quell’ idea di unità comunque non vengano ripiegati e messi in soffitta. Io penso che del Pd, di una comunità di sinistra aperta, popolare, riformista e moderna, l’Italia e l’Europa abbiano un grande, disperato bisogno. State uniti, ne va del destino della sinistra e dell’Italia.

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