giovedì 30 marzo 2017

La Madia vi porta in tribunale: amici del Fatto, vi farà bene

La bufala sulla laurea della ministra è stata smontata

Per il secondo giorno consecutivo – forse perché le meravigliose inchieste di Henry John Henry Woodcock segnano il passo e non ci sono altri cassonetti della spazzatura da perquisire – il Fatto prende di mira Marianna Madia, colpevole – secondo il Fatto – di aver copiato la sua tesi di dottorato all’Imt di Lucca.
“Madia ministra Copia&Incolla – spara a tutta pagina il giornale di Travaglio – non spiega il plagio e minaccia”. A che cosa si riferisce questo titolo? Ieri il Fatto aveva sostenuto che nella tesi di dottorato della ministra ci sono “oltre 4000 parole prese da lavori altrui senza citazioni chiare che rendessero evidente la provenienza del contributo”. Vero? Falso?
La Madia ha replicato pubblicando su Facebook la sua tesi di dottorato e sostenendo che non ci sono “anomalie” perché “ogni fonte utilizzata è stata correttamente citata in bibliografia”.
Per saperne di più, può essere utile leggere anche le dichiarazioni del direttore dell’Imt, Pietro Pietrini, al Corriere (non al Fatto) di oggi: “Le accuse sono infondate e nulla tolgono alla grande qualità di un lavoro finito su due riviste internazionali, in particolare sul Cambridge Journal of Economics”. Pietrini non nasconde che “un’ingenuità la Madia l’ha commessa”, perché “in una piccola parte dei casi le fonti non sono indicate nel testo ma nella bibliografia”.
Ma si tratta di “un dettaglio” e di “una prassi comune all’epoca” (la tesi è del 2008).
Altro che inchiesta interna, come qualcuno ha suggerito: “Le inchieste – replica il direttore dell’Imt – non si aprono perché mancano quattro parentesi”.
Il caso, insomma, appare chiaro: nella sua tesi di dottorato, Marianna Madia ha indicato correttamente nella bibliografia tutte le fonti utilizzate, ma in un paio di casi s’è scordata di aprire e chiudere le virgolette all’interno del testo. Un errore, d’accordo: o per meglio dire una svista, “un dettaglio”.
Il plagio è tutt’altra cosa, e il caso tirato in ballo dal Fatto dell’ex ministro tedesco della Difesa, Theodor zu Guttemberg, non c’entra un bel nulla.
In compenso, la Madia è stata esposta per due giorni (e chissà che cosa s’inventerà Travaglio domani) ad un’accusa infamante, dalla quale giustamente intende difendersi in tribunale.
Non è dunque una “minaccia” – come titola Travaglio – la scelta della ministra di tutelare il proprio onore: è un atto di civiltà, che farà bene anche al Fatto.

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