mercoledì 1 marzo 2017

Nessuna demagogia. Un reddito di solidarietà universalistico e sostenibile è possibile


Stefano Bonaccini e Elisabetta Gualmini

Abbiamo letto con attenzione il corsivo di Dario Di Vico (*) sul reddito di cittadinanza e non ci è sfuggito l’invito forte e chiaro ad amministratori e policy maker decisi a sperimentarlo in qualche forma ad evitare qualsiasi demagogia e a chiarire subito, non una, ma dieci, cento volte, la sostenibilità di questi strumenti rispetto a conti pubblici sempre più malconci e traballanti.
Gli appelli alla cautela sono condivisibili. Chi come noi si trova ad amministrare una regione grande e complessa come l’Emilia Romagna sa bene che c’è poco da scherzare, che è finito il tempo di fare promesse gigantesche mantenute solo in parte e che la nostra credibilità deriva dalla concretezza e dall’efficacia delle misure proposte.
Ma anche avere paura e indietreggiare, non fare nulla per non rompere equilibri consolidati, non ci sembra la risposta più adeguata a bisogni profondi e urgenti. In Emilia Romagna abbiamo introdotto il Reddito di Solidarietà, basandoci su una duplice strategia: primo, non abbiamo mosso un dito prima di avere stime affidabili sul segmento di popolazione che avremmo potuto ragionevolmente coprire; secondo, abbiamo costruito una misura non selettiva ma universalistica per quel segmento di popolazione.
Abbiamo selezionato 30 mila famiglie da cui partire, quasi la metà di quelle in povertà assoluta, indicando un solo requisito all’accesso: essere al di sotto di una specifica soglia di reddito (3000 euro Isee). Chi rispetta il requisito di reddito, che abbia figli o non ne abbia, che sia giovane o anziano, può accedere al sussidio (fino a 400 euro al mese a nucleo) purché in cambio s’impegni a ritornare attivo. Non sono infatti politiche di carità ma semmai di dignità. Nel bilancio regionale le risorse sono state stanziate in modo strutturale (70 milioni all’anno tra stato e regione) spiegando bene che si può sicuramente fare di più, anche promettere la luna, ma che è molto meglio partire bassi per poi volare alto.
Questa sperimentazione ci dirà se abbiamo visto giusto o se dobbiamo correggere. Ma combinare la sostenibilità (cioè la responsabilità del governare) con strumenti non discriminanti di lotta alla povertà qui da queste parti si può. E chissà che anche a Roma le nostre idee possano fare scuola.

(*) Pubblicato sul Corriere della Sera di mercoledì 1 marzo 2017.

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