giovedì 27 luglio 2017

Vitalizi, così poniamo fine a un sistema iniquo

Con il sistema contributivo per tutti, si riduce il divario tra istituzioni e cittadini

Matteo Richetti (Deputato PD)

Esiste una differenza sostanziale tra il populismo e la politica: il primo cavalca i problemi, la seconda prova a dare risposte. Potrei dire che questa proposta di legge per me è una risposta. Una risposta ad una lettera del 1985, indirizzata ai Presidenti di Camera, Senato e Regione Emilia – Romagna, con cui Ermanno Gorrieri, partigiano modenese e Ministro del Lavoro, aveva stimolato ad una riflessione sull’istituto dell’assegno vitalizio goduto dagli ex parlamentari ed ex consiglieri regionali.
Gorrieri, in quel frangente, non mise in discussione la legittimità giuridica dell’istituto, ma non si sottrasse dal sottolineare la presenza di aspetti di incongruenza nel rapporto fra la durata della contribuzione e l’entità degli assegni vitalizi, a cui si aggiungeva l’aspetto distorto della cumulabilità degli stessi.

Eravamo nel 1985, nel pieno di quella Prima Repubblica che con fatica e dedizione aveva costruito le basi del nostro ordinamento giuridico e istituzionale. Non si poteva di certo affermare che, con il suo tentativo, Gorrieri mettesse in campo un’azione colpevole di sminuire il valore dell’impegno politico. E’ con questa prerogativa che prende vita la mia proposta di legge sul ricalcolo dei vitalizi: ridare valore alla politica, non il contrario. Porre rimedio alla degenerazione di un istituto sulla cui legittimità, in scia alle convinzioni di Gorrieri, nessuno vuol metter bocca, ma che ha conosciuto articolazioni così distanti dalle regole valide per i rappresentati, da sminuire non solo il prezzo dell’istituto stesso, ma anche quello di un’intera classe di rappresentanti.
Il tentativo di “bollinare” questo provvedimento come populista o, peggio ancora, la lettura dello stesso come un atto contro la figura del parlamentare, non ha alcun fondamento. Questo provvedimento risponde a logiche più semplici di quelle che gli vengono attribuite da una certa narrazione: è il tentativo di ristabilire una situazione di equità sociale, di dimostrare ai cittadini che nonostante la profonda diversità di posizioni tra loro e coloro che rappresentano (più o meno) temporaneamente le istituzioni di questo Stato, non esiste alcun principio che giustifichi quelle difformità di trattamento previdenziale a cui oggi assistiamo.
Continuerò a considerare il mio impegno politico, come quello dei miei colleghi e quello di chi ci ha preceduti, un servizio al Paese che va non solo rispettato, ma giustamente riconosciuto e retribuito. Non trovo tuttavia alcun elemento di giustizia nell’erogazione di un assegno vitalizio a chi con impegno e dedizione ha ricoperto il mio stesso incarico, ma non con altrettanto valore riceve più di quanto ha versato. Non c’è principio costituzionale che possa giustificare tale disparità di trattamento con tutti gli altri lavoratori. Ed è questo che toglie significato alla politica: non il nostro tentativo di porre rimedio a questa stortura, ma la generazione della stortura stessa. Non siamo noi che rispondiamo ad un’esigenza populista, ma è la costruzione di un sistema iniquo che ha spinto verso il populismo e verso il disprezzo di una classe politica che, su questo e altri aspetti, si è giocata la faccia e la credibilità dell’opinione pubblica.

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