lunedì 8 gennaio 2018

Renzi: “Sì al salario minimo. Voglio un premier PD”

Intervista a Matteo Renzi di Davide Nitrosi – Il Giorno, 8 gennaio 2018

«Sono pronto per la campagna elettorale: il mio collegio sarà Firenze. Passo dall’auto blu alla vespa blu: andrò casa per casa. E se Salvini come ha promesso si candiderà qui, gli daremo il benvenuto in modo civile. Sperando che anche lui non scappi dal confronto come continua a fare Cuor di Leone Di Maio».

Renzi, dopo averlo messo in bolletta, davvero la prima proposta del PD è l’abolizione del Canone Rai?

«Certo non la prima: le priorità sono lavoro, Europa, cultura. Aver messo il canone in bolletta ha fatto scendere il costo. Pagare meno, pagare tutti è un principio fondamentale. Siamo scesi da 113 euro a 90 euro e proseguiremo. Ridurre i costi per il cittadino non è demagogia, ma serietà».

Di fronte al problema delle diseguaglianze e del lavoro low cost, come risponde il PD? Proporrà il salario minimo?

«Prima i fatti. Nel febbraio 2014 gli italiani che avevano un lavoro erano 22 milioni. Adesso sono 23 milioni. Un milione di posti di lavoro in più in tre anni è un successo. Il punto è come migliorare la qualità del lavoro, oltre che la quantità. E per questo l’idea del salario minimo legale che proponiamo tra i 9 e i 10 euro l’ora è molto importante».

Finora abbiamo sentito promesse costosissime da tutte le parti politiche: provi a elencare tre proposte concrete e fattibili per il prossimo governo.

«Per noi parlano i risultati più che le promesse. Elencheremo cento risultati raggiunti. E per ciascuno dei risultati raggiunti indicheremo obiettivi possibili e pragmatici. Credibilità al cento per cento. Fatti, non parole».

Che cosa vorrebbe aggiungere al Jobs act? Si teme ad esempio un’ondata di licenziamenti al termine del periodo degli sgravi…

«Con il Jobs Act aumentano le assunzioni, non i licenziamenti. La vera sfida adesso è mettere più denaro in busta paga. E dare vantaggi fiscali a chi reinveste i soldi in azienda. Non temo i licenziamenti ma non mi accontento delle pur tante assunzioni. Lavoro, lavoro, lavoro. Altro che assistenzialismo».

Resta dell’idea che bisogna estendere gli 80 euro alle famiglie? Il costo potrebbe essere di 4 miliardi.
«Gli 80 euro al ceto medio sono stati contestati per anni. Ora persino gli avversari li difendono: prima ti insultano, poi ti copiano. Noi rilanciamo. Pensiamo che gli 80 euro netti mensili vadano estesi ai genitori per ciascun figlio minorenne. O una misura simile: fare un figlio non può essere un problema economico. Incoraggiare la maternità passa anche da un sistema di servizi e di aiuti fiscali. Per ogni misura noi indicheremo le coperture».

È ancora dell’idea che occorre fare leva sul deficit per liberare risorse?

«La direi diversa. Noi abbiamo fatto scendere il deficit, ma con un ritmo diverso da quello assurdo del Fiscal Compact. Questa battaglia ha preso il nome di flessibilità ed è stata una delle più importanti sfide vinte dall’Italia negli ultimi anni. La flessibilità libera più risorse in deficit, certo. Ma è fondamentale perché mitiga l’austerity. Grazie alla flessibilità l’Italia è tornata ad avere il segno più sulla crescita, sugli investimenti, sul potere d’acquisto delle famiglie».

Resta il nodo delle tasse che erodono i salari.

«Tutti promettono di abbassare le tasse, ma non lo fanno. Berlusconi aveva cancellato l’Ici nel 2008 ma poi ha rimesso l’Imu nel 2011. Noi abbiamo tolto Imu e Tasi, cancellato l’Irap costo del lavoro, abbassato Ires dal 27.5 al 24%, lavorato sulle tasse agricole, favorito i Pir e fatto decine di altre misure in ambito fiscale. Ma bisogna fare di più».

Con Padoan i rapporti sono stati decisamente conflittuali. Si è rivelato troppo accondiscendente rispetto all’Ue? Verrà candidato?

«Mai avuto rapporti conflittuali con Padoan: quando abbiamo avuto idee diverse, abbiamo lavorato comunque insieme. Spero che continui a dare una mano al suo Paese, per noi il suo aiuto è stato prezioso».

Gentiloni è molto popolare, si ritiene che la sua forza coincida col suo carattere moderato.

«Paolo Gentiloni ha governato bene e ora deciderà lui in quale collegio correre. Il fatto che sia caratterialmente diverso da me è il motivo per cui gli ho chiesto di collaborare fin dall’inizio della nostra avventura, dal Parlamento alla Farnesina fino alla successione a Palazzo Chigi. Siamo complementari sotto molti profili».

Sinceramente, crede che dopo il 4 marzo ci saranno le condizioni per tornare a vestire i panni del premier?

«Non mi pongo il tema personale. Come PD avremo vinto se a Palazzo Chigi tornerà uno dei nostri. Il nome lo deciderà il Presidente della Repubblica come prevede la Costituzione. Noi siamo una squadra. Penso che un premier del PD sia garanzia per gli italiani, non solo per i nostri iscritti. Perché la destra di Forza Italia e della Lega è la destra dello spread, quella che ci ha lasciato a un millimetro dalla bancarotta. Il movimento Cinque stelle è un salto nel buio, come dimostrano i rifiuti di Roma o i vaccini. Il PD invece ha fatto ripartire l’Italia».

Avversari storici come il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari e l’ex direttore dell’Economist Bill Emmott vedono ora in Berlusconi l’unico elemento stabilizzatore della prossima legislatura. Difficile dargli torto.

«Era ingeneroso il giudizio di prima come è azzardato dire che oggi lui è il salvatore della patria. Quello che non riesco a capire è come faccia Berlusconi a pensare di essere credibile in Europa alleandosi con Salvini. Nelle cancellerie europee tutti hanno in bella mostra le foto di Salvini con la Le Pen».

Come valuta il dietrofront sui rifiuti di Roma in Emilia-Romagna?

«Bonaccini ha fatto un gesto di grande serietà. Dare la disponibilità ad aiutare la Raggi è stato coraggioso. Ora i Cinque stelle si vergognano di farsi aiutare dal PD: sono imbarazzati e imbarazzanti. A noi non interessano le tessere di partito o l’iscrizione al blog: a noi interessano i cittadini».

E vero che la Bonino chiede 10 seggi sicuri? L’alleanza con +Europa si farà?

«Gli accordi si fanno sulla politica, non sulle poltrone. Noi ci siamo, dipende da loro».

Nelle regioni rosse temete l’impatto dei candidati di Liberi e Uguali?

«No, perché nessuno dei vecchi compagni vuole far vincere Salvini o Berlusconi. Queste terre sono strategiche e ci daranno i collegi decisivi nella prossima legislatura. Così come possiamo vincere la Lombardia: senza Maroni per Gori la partita sarà più semplice. Noi ci crediamo davvero. E come un allenatore metterò in campo, cioè candideremo, solo gente che lotterà fino all’ultimo, senza paura».

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