di Piero Fassino (Sindaco di Torino)
Da più di vent’anni federalismo è parola che segna il dibattito politico e la vita delle istituzioni del nostro Paese. In realtà il tema di nuovi rapporti tra stato centrale e poteri locali nasce all’inizio degli anni settanta con l’istituzione delle Regioni. Mentre tuttavia l’esperienza regionalista si muoveva in una visione unitaria del Paese e come delega gestionale di poteri statali, con il federalismo ci si è posto l’obiettivo più ambizioso di un trasferimento ampio e sostanziale dallo Stato alle Regioni di poteri e titolarità, in molti casi esclusivi, su materie sostanziali. Tanto da divenire nell’interpretazione più estrema della Lega – che nel federalismo ha il suo mantra simbolico – sinonimo di separatismo, secessione, indipendenza.
Non a caso, la formula «padroni a casa nostra» è divenuta nella vulgata leghista il modo facile e populista con cui rappresentare il federalismo, facendone cosi non già lo strumento per un’architettura nazionale unitaria più moderna e democratica, ma il grimaldello per scardinare la coesione sociale e istituzionale dell’Italia e acuire le sue contraddizioni e ineguaglianze. Non solo, ma la parola federalismo viene sempre più spesa in modo propagandistico come la panacea di ogni problema del Paese, accreditando l’illusione che tutto - disoccupazione, bassa crescita, burocrazia, gap infrastrutturale, corruzione, sicurezza e quant’altro – troverà soluzione con il federalismo.
Mai rappresentazione fu più lontana dalla realtà. Si, perché se si guarda all’esperienza concreta di questi ultimi dieci anni - in otto dei quali a governare sono stati centrodestra e Lega- si vede che è accaduto esattamente il contrario. In ogni settore – anche in quelli che le leggi assegnano alla competenza regionale - è dilagata l’invasività̀ governativa e statale, con una costante compressione e mortificazione dell’autogoverno locale. E soprattutto sul piano finanziario è stato praticato un feroce centralismo statale che non solo anno dopo anno ha ridotto i trasferimenti di risorse dallo Stato ai poteri locali, ma ha finora inibito ogni e qualsiasi possibilità per Regioni, Province e Comuni, di disporre di significative risorse proprie.
Ne sono buona testimonianza i provvedimenti sul federalismo demaniale e fiscale. Il primo è tuttora privo degli adempimenti necessari a individuare i beni da trasferire e a quali soggetti istituzionali debbano essere trasferiti. Il secondo si è fin qui tradotto in una beffa, stante che l’intero sistema fiscale continua a essere in capo allo Stato che accerta la consistenza dei redditi, definisce aliquote e modalità dell’imposizione fiscale, gestisce la riscossione; mentre a Regioni, Province e Comuni è stata lasciata la sola impopolare facoltà di aumentare alcune addizionali, per altro in dimensione irrisoria. Il risultato è che il combinato disposto di riduzione di trasferimenti e centralismo fiscale ha messo in mora il sistema dei poteri regionali e locali, trasformando il federalismo in un simulacro utile al più per qualche stravagante rito propiziatorio al dio padano. Tal che né l’Italia né le sue Regioni, né i cittadini traggono alcun beneficio.
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