sabato 3 marzo 2012

È l’ora del relativismo giustizialista

di Stefano Menichini (Direttore di "Europa")
3 marzo 2012

Svolta al Fatto e dintorni. Svolta importante. Si chiude un’era, quella del giustizialismo duro e puro. Se ne apre un’altra, quella del relativismo giustizialista. D’ora in poi non conta più se si violano le leggi, punto. Conta il motivo per cui lo si fa. Cambiamento decisivo, che avvicina concettualmente i più antiberlusconiani di tutti al loro nemico numero uno. Mentre rimane fermo l’altro paradigma del giornalismo e della politica delle manette: se sei antipatico a noi non devi rispondere di colpe specifiche, basta l’ombra del sospetto remoto di un interesse indiretto e scatta la condanna. Se non altro, morale. Il terreno di applicazione della nuova dottrina varata da Padellaro e Travaglio, col decisivo supporto di Michele Santoro, è la Val Susa. I nuovi favoriti dal relativismo manettaro sono i No Tav che, sotto la leadership ormai incontrastata degli anarco-insurrezionalisti, dopo aver fatto della Valle un campo di battaglia stanno diffondendo i loro blitz in tutta Italia.

Le illegalità manifeste di questi giorni sono perdonate. «Atti di resistenza», li chiama Santoro. La provocazione del giovane che insulta il carabiniere è derubricata, la reazione del militare diventa invece «una barzelletta» (Travaglio) per l’apprezzamento unanime che «l’eroico soldato» (lo sfottimento è il forte di Travaglio) ha ricevuto da tutte le persone normali che temono un avvitamento violento della situazione.
Nello stesso momento, Bersani è messo in croce – sul Fatto da Padellaro e in tv dalla coppia Santoro-Travaglio. Che ha fatto, ha tirato sassi? Ha ordinato cariche di polizia? Ha bloccato autostrade o ferrovie? Ha intascato tangenti?
Nossignori, la colpa di Bersani è di essere segretario del Pd. Di un partito favorevole alla Tav. Favorevole per motivi politici? Impossibile, pensa Padellaro, ci dev’essere altro. Trovato: la presenza della Cmc, cooperativa storica di Ravenna, fra le ditte che scavano i tunnel. Sono appalti truccati? Sono ditte di proprietà del Pd?
Nessuna della due, anzi Meletti sullo stesso Fatto spiega che partito e coop non sono più legati da un pezzo, e che la Cmc è rientrata negli appalti dopo esclusioni a suon di mazzette. Ma contro il Pd e Bersani, nel giorno del flash mob No Tav al Nazareno, non contano i fatti, conta il fango che si può far girare (chissà poi chi dovrebbe scavare i tunnel secondo Padellaro: le cooperative dell’agricoltura biologica?).
È grazie a simili operazioni di diffamazione che quel ragazzo confuso della Valle può continuare a pensare che insultare e minacciare un carabiniere equivalga al martirio antimafia di Peppino Impastato: nella sua testa il nesso tra cantieri e mafia (uno degli assiomi indiscutibili No Tav) può da ieri, grazie a Padellaro, passare anche per la sede nazionale del Pd.
Non una parola, si intende, merita di essere spesa per i molti giornalisti espulsi a forza dalla Val Susa. È un altro campo di applicazione del nuovo relativismo fattoide: il gruppo di semidei che solcava osannato le piazze della libertà di stampa ai tempi di Berlusconi può permettersi questa sufficienza.
Di questa materia è composto il successo del Fatto (anche, ahinoi, presso tanti elettori democratici). Con questi metodi si liscia il pelo al nuovo pubblico gauchiste dell’ex giovane cronista del Borghese. Pazienza se una delle vittime di questo nuovo relativismo giustizialista si chiama Gian Carlo Caselli, e grazie alla sua applicazione della legge contro i No Tav violenti ha oggi un motivo in più per vivere blindato.

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