Miriam Mafai |
di Alessandra Vitali (La Repubblica, 9 aprile 2012)
Si è spenta a Roma la giornalista e scrittrice Miriam Mafai. Aveva 86 anni. Era una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano. Attenta osservatrice dei cambiamenti della politica e della società del nostro Paese, fotografati e analizzati con un'ampia produzione saggistica, Mafai aveva contribuito alla nascita di Repubblica e per il quotidiano, per decenni, ha svolto un'intensa attività di editorialista, inviato, cronista politico, diventandone una delle colonne portanti, grande testimone di quasi un secolo di vita italiana.
Domani, 10 aprile, a partire dalle ore 15.30, sarà allestita la camera ardente presso la sala della Protomoteca in Campidoglio. Nella stessa sala alle ore 12 di mercoledì 11 aprile si terrà la commemorazione.
Miriam Mafai era nata a Firenze il 2 febbraio del 1926, figlia - insieme alle sorelle Simona e Giulia - di due fra i più noti artisti del XX secolo, il pittore Mario Mafai e la scultrice Maria Antonietta Raphael, tra i fondatori della corrente artistica della Scuola Romana. Militante comunista di lungo corso, aveva partecipato alla Resistenza antifascista a Roma. La sua carriera giornalistica era cominciata con l'Unità, all'epoca "Organo del Partito Comunista Italiano". All'inizio degli anni Sessanta ma prima ancora, alla fine degli anni Cinquanta, era stata corrispondente da Parigi per il settimanale Vie Nuove. Poi, dalla metà degli anni Sessanta al 1970 era stata direttore di Noi Donne e poi inviato per Paese Sera. E poi La Repubblica, per più di trent'anni. Dal 1983 al 1986 sarà anche presidente della Federazione nazionale della stampa italiana.
L'incontro con la politica avviene presto. Sui banchi di scuola, nel 1936, quando la classe festeggia la conquista dell'Impero mentre a lei suo padre aveva già spiegato che cosa significasse essere antifascista. Nel 1938, con le leggi razziali, viene esclusa dal ginnasio (la sua famiglia era per metà cattolica - il padre - e per metà ebrea - la madre -). Nel 1943 è in strada, a Roma, a distribuire volantini contro l'occupazione tedesca. Nel 1944 entra a lavorare nell'ufficio stampa dell'appena istituito ministero dell'Italia occupata, diretto da Mauro Scoccimarro. E' lì che un giorno conosce Giancarlo Pajetta, che faceva parte di una delegazione del Comitato di lLberazione Nazionale.
"Diventai amica sua e anche della moglie e dei figli", ha raccontato Mafai in un'intervista parlando di quello che, molti anni dopo, sarebbe diventato il lungo amore della sua vita.
Nel 1948, giovane funzionaria del PCI, sposa con una cerimonia civile Umberto Scalia, segretario della Federazione del PCI dell'Aquila. Nasceranno due figli, Sara e Luciano. E in Abruzzo - dove diventerà assessore del Comune di Pescara - viene a contatto con la realtà della povertà estrema, degli sfollati, dei ragazzini che non possono andare a scuola perché non hanno nemmeno le scarpe. Da assessore si occupa anche e soprattutto di questo, di gestire gli aiuti per gli indigenti.
La relazione con Giancarlo Pajetta, "il ragazzo rosso" come si intitola la sua autobiografia, comincia nel 1962. Miriam Mafai (più di trent'anni lei, oltre cinquanta lui) era ancora sposata "e a molti, nel Partito comunista - raccontava - non andava giù". Sarà un amore lungo trent'anni, fino alla morte del partigiano "Nullo", probabilmente il più popolare esponente del PCI per tutto il secondo Dopoguerra. Indelebili le parole della Mafai, che su questo rapporto diceva: "Tra un weekend con Pajetta e un'inchiesta, io preferirò sempre, deciderò sempre, per la seconda". Il suo compagno morirà nella notte tra il 13 e 14 settembre del 1990, a 79 anni. Aveva trascorso la serata a una Festa dell'Unità.
All'impegno giornalistico Mafai affianca una vasta produzione saggistica, da L'uomo che sognava la lotta armata (1984) a Pane Nero. Donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale (1987) a Il lungo freddo. Storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse l'Urss (1992), da Botteghe Oscure addio. Com'eravamo comunisti (Premio Cimitile nel 1996) a Dimenticare Berlinguer (1996), da Il sorpasso. Gli straordinari anni del miracolo economico 1958-1963 (1997) a Il silenzio dei comunisti (2002), scritto insieme a Vittorio Foa e Alfredo Reichlin, per citarne solo alcuni.
E poi, per raccogliere il racconto dei suoi anni da osservatrice, aveva pubblicato nel 2006 Diario italiano, con i pezzi scritti per Repubblica dal 1976, anno della nascita del quotidiano, fino a quel momento. Note politiche, opinioni, analisi di costume, "il diario anche di coloro che hanno attraversato questi anni con le stesse speranze, curiosità, emozioni, indignazioni, delusioni alle quali ho dato voce, o tentato, con i miei articoli". Pochi accenni alla vita personale, solo due brevi memorie, dedicate una alla madre e una al padre. E' la politica la spina dorsale degli articoli che raccontano trent'anni di Italia, il terrorismo e Aldo Moro, Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica, l'inizio delle grandi ondate di immigrazione, i presidenti della Repubblica e quelli del Consiglio e i governi che cadono, ma pure le prime violenze negli stadi.
C'è l'attualità ma ci sono anche i temi che Mafai segue con continuità, per anni, dal divorzio all'aborto e i referendum, dagli interventi del Papa al dibattito sulla laicità dello Stato, dalla legge sulla fecondazione artificiale alla condizione femminile, tema che sempre le è stato caro così come quello della difesa dei diritti dei lavoratori. E bastano i titoli dei capitoli a dare il segno di come la pensasse, "La fine di un ciclo - Anche i partiti muoiono", "I Ds con l'eskimo", "La deriva dell'Ulivo - Siamo ormai vicini al capolinea", "Divisi su tutto", "Il programma dell'Unione: il centrosinistra ha bisogno di un'anima, non di un volume di 287 pagine". E poi i ritratti, lievi e ficcanti, da Veltroni a D'Alema agli altri. Una fotografia della storia, ma senza rimpianti, perché "il mondo è cambiato, in peggio o in meglio non importa, è qui che dobbiamo vivere". E un'istantanea dello stato di salute del Paese, "con la fretta del mestiere - disse - ma sempre, mi sembra di poter dire, con onestà".
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