L’accordo sul clima è arrivato, 195 paesi hanno firmato l’intesa. Hollande: “Quello che arriva da Parigi è un messaggio di vita”
L’accordo sul clima è arrivato. Dopo anni di negoziati globali e due settimane di colloqui ininterrotti, i delegati di quasi 200 Paesi hanno raggiunto a Parigi lo storico accordo per limitare il riscaldamento globale. La bozza, presentata questa mattina dal ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius fissa il limite del ‘global warming’ ben al di sotto dei 2 gradi centigradi entro il 2020, puntando all’obiettivo di 1,5 gradi. Attenzione al taglio delle emissioni di gas a effetto serra, e all’impegno finanziario per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella sfida alla sostenibilità ambientale. Un successo, secondo alcuni, che pongono il paragone con il protocollo di Kyoto, siglato nel 1997, che coinvolgeva di fatto solo 35 Paesi.
Accordo ambizioso e vincolante
“Un accordo ambizioso, equilibrato, sostenibile e soprattutto giuridicamente vincolante”, ha annunciato Laurent Fabius, padrone di casa nella Cop21. Accanto a lui il presidente francese, François Hollande, e il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban ki-Moon. “È uno storico punto di svolta”, ha ricordato Fabius. “Si tratta del primo accordo universale nella storia dei negoziati in termini climatici”, ha aggiunto Hollande, ricordando che la sigla è stata posta a un mese esatto dagli attacchi di Parigi. “Quello che arriva dalla Cop21 è un messaggio di vita e sono orgoglioso che arrivi proprio da Parigi che un mese fa è stata colpita al cuore”, ha ricordato il presidente.
Limite al di sotto dei 2 gradi
Punto chiave del testo di accordo è mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali entro il 2020 e proseguire gli sforzi per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, “riconoscendo che questo ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico”. Tra i sostenitori, più di 100 Paesi, l’Unione europea e soprattutto degli Usa. Tra i contrari, l’Arabia Saudita, secondo cui un obiettivo così ambizioso potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare del pianeta.
Emissioni gas effetto serra
Tra i nodi più controversi, l’obiettivo fissato nel testo, di ridurre le emissioni inquinanti. Si prevede di raggiungere un picco globale delle emissioni di gas a effetto serra nel più breve tempo possibile, riconoscendo che ci vorrà più tempo per i Paesi in via di sviluppo, e di “intraprendere riduzioni rapide da quel picco in poi secondo le conoscenze scientifiche disponibili, in modo da raggiungere un equilibrio tra le emissioni in atmosfera e le emissioni assorbite in modo persistente dalle biomassa (foreste, suolo) o catturate e stoccate sotto terra. I Paesi a rischio climatico e molte ong avevano chiesto un impegno chiaro, mentre i giganti emergenti – India e Cina – premevano per posticipare o sfumare qualsiasi obbligo, rivendicando il diritto a bruciare carbone. Per questo, nella bozza finale del testo non si parla più esplicitamente di “neutralità carbonica” e non si precisa più l’obiettivo delle riduzioni entro il 2050.
100 miliardi per i Paesi in via di sviluppo
Inserito all’interno delle decisioni non vincolanti, dopo le proteste degli Stati Uniti, nel testo compare l’invito “ai Paesi sviluppati a incrementare il loro livello di supporto finanziario, con una roadmap concreta per raggiungere l’obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l’anno da qui al 2020 per mitigazione e adattamento, aumentando in modo significativo i finanziamenti per l’adattamento rispetto ai livelli attuali e fornendo l’appropriato supporto tecnologico e di creazione di competenze”.
Revisione degli impegni
Ogni cinque anni i paesi dovranno rivedere il loro contributo attraverso un meccanismo di “segnalazione e di responsabilità trasparente”. Lo si legge nella bozza di accordo, il cui scopo è rinnovare gli impegni nazionali per raggiungere gli obiettivi fissati e quelli futuri che non potranno essere meno ambiziosi rispetto a quelli precedenti.
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