sabato 20 gennaio 2018

Cos’è la flat tax, proposta dalla destra, e perché è inapplicabile

La flat tax è un sistema fiscale proporzionale basato su un’aliquota fissa. Quella proposta dal centrodestra è del 23% per tutti. Il costo della riforma è di circa 50 miliardi di euro e non ci sono le coperture necessarie per realizzarla

Uno dei cavalli di battaglia del triumvirato Berlusconi-Salvini-Meloni è l’introduzione di una flat tax, cioè di un sistema fiscale proporzionale basato su un’aliquota fissa. Nel caso specifico, la proposta è quella di fissarla al 23%. Per il centrodestra aiuterebbe a far ripartire l’economia, ma in realtà costerebbe allo Stato circa 50 miliardi di euro e gli unici a sorridere sarebbero i più ricchi.


La flat tax, l’eterna promessa
L’idea di introdurre una tassa ad aliquota fissa è un vecchio pallino di Silvio Berlusconi. Per trovarne traccia bisogna addirittura tornare al ‘94, l’anno della sua celebre discesa in campo. Da allora si sono susseguiti 4 governi guidati dall’ex Cavaliere ma nessuno ha onorato la promessa. C’è di più: non solo Berlusconi non è mai riuscito a introdurre la flat tax, ma non è nemmeno mai riuscito ad abbassare la pressione fiscale, così come si vanta di aver fatto da anni. Per fare un esempio: in un’intervista al Corriere del novembre scorso il leader di Forza Italia ha detto di aver portato “la pressione fiscale al 39%”. Ma non è vero. Anzi, durante il suo ultimo governo, dal 2008 al 2011, la pressione fiscale ha toccato il 41,9% del 2011. E non è l’unico caso.

Perché la flat tax non è la soluzione
La risposta più semplice è che la flat tax è costosa e iniqua. La risposta più complessa riguarda invece i numeri e le altre proposte del centrodestra. Innanzitutto l’introduzione della flat-tax costerebbe 50 miliardi di euro che Berlusconi spera di recuperare con il conseguente maggior gettito generato da chi sarà meno incline ad evadere. Ma sarebbe una scommessa ad alto rischio che danneggerebbe le fasce di popolazione più deboli, senza considerare il grosso regalo recapitato ai più ricchi che si vedrebbero tagliare (loro sì) la pressione fiscale in un colpo solo.
Lo spiega bene l’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: “La flat tax non è sostenibile. Capisco che dire che si farà la flat tax susciti entusiasmo. Ma ci sono due aspetti da considerare: primo, diteci dove trovate le decine e decine di miliardi che servono a coprire la flat tax. Secondo, diteci come si evita che la flat tax produca un risultato ben noto, cioè quella di essere regressiva, ovvero di avvantaggiare i più ricchi”.
Su questo fronte il Pd ha già dato una risposta negli anni dei governi Renzi e Gentiloni, visti i buoni risultati ottenuti nella lotta all’evasione fiscale. Nel 2016, ad esempio, è stato registrato il record di recupero di risorse pubbliche dall’evasione: 19 miliardi di euro, con una crescita del 28 per cento rispetto al 2015 (fonte dati “Risultati dell’Agenzie delle Entrate 2016”).

I problemi del centrodestra con i conti
L’altro problema che si nasconde dietro alla proposta dell’aliquota fissa è quello sottolineato da Luigi Marattin in una recente intervista a Democratica. Da una parte c’è Renato Brunetta che sostiene sia possibile ridurre il debito fino al 100% del Pil in 5 anni, dall’altra c’è che per raggiungere quel obiettivo – spiega Marattin – “ci deve essere una crescita del Pil del 4% l’anno (che non si vede dagli Anni 60), oppure un’inflazione del 4% (doppia rispetto al mandato BCE), oppure un avanzo primario del 5%”.
Il punto è che al momento l’avanzo primario è al 2% del Pil. Brunetta vorrebbe raddoppiarlo, ma come? O si aumentano le entrate (le tasse e i contributi), o si diminuiscono le spese. Di almeno una “ventina di miliardi”, stima Marattin. Ma come abbiamo visto l’introduzione della flat-tax taglierebbe immediatamente gli introiti dello Stato di svariati miliardi. Un’eventualità che è in netta contraddizione con quanto promesso da Brunetta e dalla flat tax berlusconiana.

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