lunedì 7 dicembre 2009
Clima, la sfida di Copenhagen
Perché la Conferenza di Copenhagen (COP15) è così importante?
A fine 2012 termina il primo periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto ed è pertanto necessario negoziare i tagli delle emissioni per il periodo successivo. La mancata definizione di nuovi impegni di riduzione per l’inizio del 2013 sarebbe deleterio per l’efficacia della lotta ai cambiamenti climatici e per il mercato mondiale della CO2. Un accordo a Copenhagen è fondamentale per consentire i tempi tecnici necessari per rendere operativo il nuovo accordo prima della fine del 2012.
Cosa prevede il Protocollo di Kyoto?
Richiede complessivamente ai Paesi sviluppati di tagliare le proprie emissioni del 5% entro il 2012, rispetto ai valori del 1990. Gli USA si sono sottratti a tale obbligo, non ratificando il Protocollo. I Paesi in via di sviluppo, invece, lo hanno sottoscritto ma sono in questa prima fase esclusi da tagli vincolanti delle emissioni.
Cos’è l’UNFCCC?
È la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, definita nel 1992 a Rio de Janeiro. L’UNFCCC contiene i principi e gli indirizzi che la comunità internazionale ha deciso di adottare per affrontare i cambiamenti climatici. Gli incontri annuali dell’UNFCCC, chiamati “COP”, rappresentano l’unico ambito titolato a concordare e modificare le azioni e i trattati futuri, come avvenne nel 1997 con il Protocollo di Kyoto.
Come sono strutturati i lavori?
Esistono due tavoli negoziali indipendenti. Il KP è quello deputato a definire i nuovi vincoli di riduzione per i Paesi sviluppati che hanno aderito al Protocollo di Kyoto. Quello LCA, stabilito a Bali nel 2007, vuole invece stabilire degli obblighi per tutti i paesi sviluppati (inclusi gli USA) e le azioni che dovrebbero essere attuate dai Paesi in via di sviluppo per contribuire alla riduzione delle emissioni mondiali di gas serra.
Quali sono i possibili obiettivi per un accordo a Copenhagen?
Il IV Rapporto sui cambiamenti climatici dell’IPCC, il gruppo di scienziati di tutto il mondo che opera sotto il cappello ONU, ha presentato un chiaro scenario. Per contenere i possibili danni del riscaldamento globale sotto una soglia accettabile è necessario che l’innalzamento di temperatura (oggi pari a circa 0,75 °C) non superi i 2°C e per fare questo la concentrazione di CO2 in atmosfera (attualmente pari a 385 ppm) non deve superare i 450 ppm.
Quali nuovi impegni attendersi dai Paesi sviluppati (PS)?
Per mantenere la concentrazione di CO2 sotto i 450 ppm, gli scienziati dell’IPCC chiedono la riduzione entro il 2020 delle emissioni dei PS del 25-40% ed entro il 2050 dell’80%, tenendo come anno di confronto il 1990. Sull’obiettivo di lungo periodo esiste un largo consenso, ma l’accordo è difficile su quello al 2020. Ad esempio, l’obiettivo -17% proposto dagli USA è riferito al 2005 e se ricalcolato rispetto al 1990 è pari solo al -4% (il Protocollo di Kyoto prevedeva che gli USA raggiungessero il -7% entro il 2012).
Quali nuovi impegni attendersi dai Paesi in via di sviluppo (PVS)?
Non avendo i PVS completato il loro percorso di sviluppo economico e di lotta alla povertà non è pensabile attribuire loro degli obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni. Il IV rapporto IPCC prevede invece che essi operino per la realizzazione di un percorso di sviluppo a minore contenuto di carbonio. È così ipotizzato che essi riducano la loro intensità di carbonio (emissioni di CO2/PIL) del 15-30% entro il 2020.
Vi sono altri punti in discussione?
I due tavoli KP e LCA intendono anche trovare come facilitare il trasferimento di tecnologie pulite a favore dei paesi in via di sviluppo e promuovere l’adozione di misure di adattamento, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, in grado di ridurre l’impatto causato dai cambiamenti climatici.
È prevista la creazione di strumenti legati alle foreste?
Storicamente gli interventi sulle foreste sono stati rivolti alle azioni di riforestazione, laddove le foreste erano state precedentemente distrutte. Da Copenhagen dovrà invece uscire un nuovo strumento, denominato REDD, in grado di proteggere le foreste esistenti. Queste vengono di fatto ad acquisire il valore di capitale mondiale per la protezione del clima dell’intero pianeta, anziché di aree a scarso valore economico per il paese che le ospita.
Chi si accollerà l’onere economico di tutti questi interventi?
I Paesi sviluppati sono chiamati a contribuire in modo principale alla creazione di un fondo in grado di supportare i Paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli cosiddetti “meno sviluppati”. Il fondo dovrà essere immediatamente operativo e costituito anche grazie a sistemi di tassazione del mercato della CO2. Ad oggi il consenso maggiore è perché esso venga gestito direttamente all’interno dell’UNFCCC.
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