domenica 24 gennaio 2010

Le gambe corte del "processo breve"


di Achille Serra (Senatore PD)

"Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata del processo": questo il titolo ufficiale del Ddl 1880, volgarmente noto come “legge sul processo breve”. Un titolo che rispecchia in maniera esemplare il modus operandi dell’attuale governo che mentre persegue gli interessi particolari di pochi (o di uno), vanta davanti all’opinione pubblica una premurosa sollecitudine verso tutti. Così, nuovamente, ingiustizia è fatta, non solo per le conseguenze di questa norma scellerata ma per la nuova bugia propinata al Paese. Quando si possiede il più potente strumento di comunicazione dell’età contemporanea - la televisione - e numerosi strumenti minori - giornali, radio, portali web - confezionare e vendere bugie non richiede eccessivi sforzi di creatività. Basta trasformare una verità che sta a cuore ai cittadini - “un processo non può durare 15 anni” - in uno slogan ripetuto con convinzione da tutti i megafoni a disposizione, dalle Aule parlamentari ai salotti dei talk show. Chi, in Italia, non condivide un’affermazione del genere? E, soprattutto, che importanza hanno le strategie per raggiungere questo obiettivo, davanti a uno slogan che suona come una promessa? Al di là della propaganda, le strategie sono l’unica cosa che conta. E le domande importanti diventano altre: quanti anni sono che non viene bandito un concorso per cancellieri? Quanti segretari mancano nei tribunali? Quando avremo, anche in Italia, una “giustizia telematica” che snellisca archivi e procedure? Quando, insomma, metteremo la macchina burocratica nelle condizioni di rispettare il principio costituzionale della ragionevole durata del processo? Il triste capitolo del “processo breve”, dunque, mostra che non c’è limite all’arroganza menzognera del governo. Ma mostra anche che le possibilità di dialogo con questa maggioranza non esistono. Dopo l’ignobile aggressione di Tartaglia, in molti hanno salutato con speranza il nuovo partito dell’amore e del confronto. Mentre in questi giorni in Senato, dopo appena un mese dalle rinnovate promesse di dialogo, abbiamo assistito al più duro atteggiamento di chiusura dall’inizio della legislatura. I nostri emendamenti, puntualmente bocciati, non sono neanche stati presi in considerazione. Il no all’ascolto è stato assoluto, sebbene dalle file dell’opposizione siano intervenuti giuristi e politici di grande spessore. Dopo averne fatto per quarant’anni il cavallo di battaglia della mia carriera, mi piacerebbe oggi sapere cosa intenda in governo per dialogo. E se non abbia ragione il Presidente del Consiglio quando taccia di inutilità l’istituzione parlamentare, un’istituzione che per metà esegue ordini e per l’altra metà è costretta a subirli.

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