venerdì 28 ottobre 2011

"Pronti alla sfida di governo"

Intervista a Pier Luigi Bersani di Barbara Jerkof - Il Messaggero, 28 ottobre 2011

Pronti ad affrontare la sfida del governo... che sia ora con un esecutivo di transizione o che sia dopo elezioni anticipate. Perché una cosa è certa - avverte Pier Luigi Bersani - così al 2013 non ci si arriva. Il segretario del PD traccia la sua road map: primarie di centrosinistra dopo aver stretto un accordo «di credibilità» con Idv, Sel e Psi, che metta al riparo dagli errori del passato sulla tenuta della coalizione attraverso precisi meccanismi parlamentari (un vero e proprio vincolo di maggioranza nei gruppi parlamentari); e apertura ai moderati con un patto di legislatura. Obiettivo: «Ricostruire il Paese» dopo il ventennio berlusconiano. Chiarendo che quando sarà il momento di scegliere dal basso il candidato premier, il candidato del PD sarà lui.


Segretario, lei ha definito il documento d'intenti del governo alla Ue come «merce usata», mai sindacati prendono la parte sui licenziamenti molto sul serio minacciando lo sciopero generale. Come stanno le cose?

«A uno sguardo obiettivo il documento è fortemente minaccioso sul mercato del lavoro. Quando si parla con tanta leggerezza di licenziamenti per motivi di crisi si deve sapere che in questo stesso momento abbiamo 400 mila cassintegrati che leggendo questa novità potrebbero apprendere che da oggi sono tutti licenziati. Al netto di queste minacce, è tutta merce usata venduta come nuova. Penso alle pensioni ma anche alla presa in giro colossale sulle liberalizzazioni, Sulle riforme istituzionali si parla di dimezzare il numero dei parlamentari nella stessa settimana in cui in commissione al Senato hanno stoppato i tagli. Indicano scadenze parlamentari mentre sono costretti alle Camere a ritirare tutti i disegni di legge».

L'Europa però sembra apprezzare le promesse italiane.

«E io non voglio certo minare questa apertura di credito. Ma se tra un mese emerge che abbiamo raccontato ancora un sacco di favole. raddoppiano i guai. Non possiamo vendere altro fumo».

Nei suoi colloqui di queste ore con Casini e Di Pietro è stata messa a punto una strategia comune delle opposizioni in Parlamento?

«Il giudizio delle diverse opposizioni rni pare largamente univoco. E cioè riteniamo che questo governo non sia più in grado né di produrre cose significative né di garantire ormai l'ordinaria amministrazione».


Resta la necessità, per chiunque governi oggi o governerà domani, come ha detto il capo dello Stato, di assumersi la responsabilità di misure impopolari.

«Chiunque governi o governerà deve prendere misure dure e giuste. Se sono giuste non sono sicuro che siano anche impopolari. L'unica chiave per rispondere è un atteggiamento di fiducia e di verità che dica: chi ha di più deve dare di più, chi è stato disturbato meno ora dovrà disturbarsi di più. E si parte con una cura di riforme secche e vere. Quando io feci da ministro le mie liberalizzazioni, l'Italia si svegliò al mattino con una sorpresa: ecco, il metodo è quello. Il giorno dopo il nuovo governo l'Italia deve svegliarsi con una sorpresa: cose serie e incisive. ma, eque. Sto parlando innanzitutto di tagli ai costi della politica, semplificazione amministrativa, un fisco più giusto, liberalizzazioni vere, lotta alla precarietà e così via. E ripeto: eque. Perché la cosa più scandalosa di queste ore è che tra Bce, Ue, lettera e tutto il resto, è scomparso, per esempio, il tema dell'evasione fiscale che è il vero punto di differenza tra noi e il resto d'Europa».

Sta di fatto che il governo che sembrava aver ripreso ossigeno è di nuovo nella tempesta, tra dissidenti dei Pdl e gelo con Tremonti.

«Basta far due passi in Parlamento e incontrare parlamentari del centrodestra per vedere che non hanno risolto proprio niente».

Quindi restano tutti i diversi scenari per il dopo Berlusconi. Ma possibile che anche sul votare subito-votare dopo il PD sia riuscito a dividersi?

«Trovo questi giochetti di comunicazione francamente irritanti. Soprattutto perché il PD da un anno negli organismi di partito e nelle dichiarazioni del segretario, dice una cosa e una sola: siamo pronti a fare la nostra parte in un governo di transizione che sia segnato da una discontinuità e che abbia una larga base parlamentare. Queste riflessioni le ho anche consegnate al presidente della Repubblica non da oggi. Non ci sono queste condizioni? Non possiamo aspettare il 2013. Una terza strada non c'è. Poi, è chiaro, non tutto è nelle nostre mani ma le nostre intenzioni sono queste. Punto».

Il PD sconta anche un evidente fattore di ambiguità, segretario: non sapere con quale candidato premier né con quali alleanze si presenterà agli elettori.

«Quando sento questa storia che il Pd è diviso sono il primo a dire che a volte esageriamo, ma mi chiedo anche: non è che è entrato in vena un berlusconismo per cui ci si aspetta che parli sempre uno solo? La verità è che noi stiamo lavorando a qualcosa di più grande e profondo del giorno per giorno, stiamo lavorando a una ricostruzione dal lato democratico e dal lato del patto sociale. E' da qui allora che faccio il discorso sulle alleanze e tutto il resto. E da qui viene fuori il lavoro che stiamo facendo e che è un ben più avanti di quel che comunemente si pensa».


Quando dice «stiamo» a chi si riferisce?

«A noi del centrosinistra, E sto parlando del PD, di Di Pietro, di Vendola, dei socialisti. Qual è il problema che dobbiamo affrontare e risolvere insieme? La credibilità. Io sto lavorando su questo e stiamo facendo importanti passi avanti su cose molto concrete».

Sta parlando della messa a punto di un documento comune, di una sorta di contratto come lo chiamerebbe Berlusconi?

«Sto parlando di risposte a domande tipo: ma noi la maggioranza parlamentare come la garantiamo, con quale meccanismo? I cinque o sei punti del programma che la gente sa essere un problema - politica internazionale, risanamento, concertazione - come pensiamo di risolverli?».

Quindi lei, Vendola e Di Pietro siete già entrati nel merito di un programma di governo vero e proprio?

«Fare un programma è facile, il punto vero lo ripeto è la credibilità».

E come la si garantisce? I precedenti storici della sinistra di governo non sono proprio rassicuranti.

«Appunto. Per questo stiamo ragionando su un preciso meccanismo. Voglio essere ancora più chiaro: nella vita dei gruppi parlamentari dovrà esserci un vincolo di maggioranza».

D'Alema ha sottolineato giorni fa come l'accordo a sinistra non sia sufficiente e che per arrivare al 60% si debba aprire al centro. Condivide?

«E infatti da questa posizione il centrosinistra deve rivolgere un messaggio alle forze moderate per un governo di ricostruzione. Io non tiro per la giacca nessuno, rispetto, capisco i problemi. i muri da oltrepassare, però al Terzo Polo voglio dire: la vedete l'Italia? Non sto parlando, di un'ammucchiata ma di un incontro tra progressisti e moderati italiani per un patto di legislatura e su una dozzina di riforme da fare per ricostruire l'Italia. In vista di questo, glielo dico molto francamente, anche il Pd deve darsi una registrata. perché non sempre la discussione che sento tra noi è all'altezza di questa sfida. Il progetto - centrosinistra di governo, allargamento al centro con un patto di legislatura, ricostruzione dell'Italia - va bene? Avanti, allora si tira. Non va bene? Si discute. Ma non c'è più tempo per chiacchiere che non vanno da nessuna parte».

Visto che sta tracciando la road map da qui al voto, parliamo di candidature? Sarà lei il candidato premier dei Pd alle primarie?

«Io ci sono. Non andrò mai davanti al Paese dicendo che ci sono perché lo dice lo statuto del PD, ma il PD, che è nato con il metodo delle primarie, proporrà il suo candidato con un'assunzione di responsabilità politica. La coalizione deciderà a proposito delle primarie e chi può partecipare. E a quella discussione non ci si aspetti un PD o un Bersani che chiude le porte. Quando sento qualcuno dire che Bersani ha paura, io rispondo: è fin da bambino che non ho paura».

Oggi Renzi riunisce a Firenze giovani e meno giovani rottamatori. Tanta dialettica al PD fa bene o fa male?

«Può far bene. Può anche far male. A Pesaro, concludendo la festa del PD, ho detto ai giovani: se toccherà a me il giro della ricostruzione lo metterò largamente sulle vostre spalle. Chiedo però che l'idea del collettivo, della squadra, non venga calpestata in nome di eccessi personalistici che ormai sono cose del passato».

Sabato prossimo, segretario, il PD sarà in piazza a Roma. Perché?

«Saremo in piazza San Giovanni perché è un luogo che ha scandito le vicende democratiche del nostro Paese. Sarà un incontro festoso, nel rispetto dell'ordinanza del sindaco sui cortei, chi non vorrà portare bandiere del PD porterà il tricolore, saremo lì insieme nel nome del popolo italiano. E mi piace pensare che dopo la figura disastrosa che abbiamo fatto agli occhi dell'Europa, la rimessa in moto della dignità dell'Italia possa passare proprio da questo appuntamento, con la partecipazione dei leader progressisti francese e tedesco, proprio nella città che ospitò i trattati fondativi dell'Unione».

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